«La stoffa delle cravatte deve variare con le stagioni e bisogna fare attenzione a non portarle troppo strette per evitare di comprimere il collo».Notions d’hygiène à l’usage des instituteurs (Nozioni di igiene ad uso degli istitutori), 1877.
E se la moda non fosse quello che è, ma quello che sovverte ciò che è? L’aspetto stagionale delle pratiche estetiche, ovvero la differenza che separa le mise da una stagione all’altra e il modo in cui questi cambi d’abito danno vita a un ordine stagionale delle società, costituisce probabilmente uno dei migliori argomenti per convincersene. Se ne possono trovare mille testimonianze. Ho preso spunto qui da un piccolo testo che Léon-Paul Fargue pubblica nel 1942, dal titolo «Beau temps parisien»; ma non è il bel tempo che gli interessa ma l’allusione alla stagione che si manifesta attraverso il “beau temps”. Ora, questa stagione, nota il poeta, non è né quella dei geografi né quella dei fabbricanti di calendari, ma quella che fa nascere ogni anno la metamorfosi delle tenute. «Si percepisce che i vestiti delle donne iniziano a privilegiare i tessuti stampati raffinati che le rendono piene di grazia e di seduzione. Colui che si mettesse a contare i soprabiti in qualche quartiere ne vedrebbe sparire progressivamente tanti al giorno, fino all’istituzione generale della “giacca nazionale”.»1
Se sono partito da qui è perché queste osservazioni rappresentano una sfida per lo storico delle apparenze2. Immaginiamo che io voglia comprendere come è stato possibile che, a un certo punto nel corso del XX secolo, l’estate sia diventata una stagione a parte nell’economia dell’apparenza, una stagione in cui, in proporzioni che sono l’argomento stesso di questa storia, è ormai consuetudine svestirsi e lasciare intravedere il proprio corpo. Ciò che dovrò allora descrivere non è un susseguirsi di tenute e il modo di portarle, né l’accorciamento dei vestiti o il successo dei costumi da bagno a righe. Quello che dovrò scrivere è la storia di una variazione stagionale. O per dire le cose in modo ancora più diretto: non è possibile affermare perché la gente indossa quello che indossa d’estate se non a condizione di comprendere che la moda estiva deve il suo prezzo, la sua forma e persino la sua esistenza al fatto che rompe con ciò che si indossa nelle altre stagioni. Per cui studiare la stagionalità delle mode non è una cosa di secondo piano, ma è un modo per chiarire una struttura ritmica delle esistenze sociali mentre si fanno e si disfano incessantemente nel tempo3. È questa la storia che vorrei illustrare qui. Una storia che ha una sua origine in quanto, a suo modo, è il prolungamento del canovaccio analitico che Marcel Mauss elaborava nel 1904 in materia di «società eschimesi». Ma dimenticando di parlare dell’apparenza. Il modo di vestirsi avrebbe occupato un posto tanto decisivo nel suo Manuale di etnografia4, per quanto, al momento, nel comfort elegante del suo studio, non avrebbe avuto grande importanza. Quello che affermava allora non è per questo meno incisivo. Mostrando che nelle società eschimesi si osservano due stagioni distinte, una fredda e l’altra calda – durante le quali i riti, le credenze, l’habitat, i rapporti familiari e persino le forme di potere si capovolgono – sottolineava quanto fosse dannoso studiare i comportamenti sociali stagionali, senza considerare la loro dipendenza dal sistema d’insieme di cui rappresentano solo una parte5. In altre parole, è la stagione che fa esistere il fuori stagione ed è il fuori stagione che fa esistere la stagione.
Per esplorare queste intermittenze della moda, ho scelto di prendere come oggetto di studio l’istituzione in Francia, nel periodo tra le due guerre, di un’etica propriamente estiva delle apparenze e delle pratiche estetiche che, realizzatasi in particolare nelle tenute da spiaggia e nei modi di portarle, incarna una delle variazioni stagionali della moda.
Scelta del tempo di esposizione secondo della stagione e del soggetto fotografato all’aperto
Agenda Lumière, 1933 / Collezione Modes pratiques.
«Passate in modalità estiva»
Per far capire di cosa si tratta, e per sottolineare la familiarità che oggi ci lega a questo genere di cose, possiamo iniziare dalla condizione attuale della moda estiva. Estate 2017, uno dei numeri della rivista Elle, per essere precisi quello del 16 giugno, dispensa, con una modalità che è essa stessa tipica della stagione, una serie di suggerimenti di questo tipo: «Motivi floreali, look hippy, accessori estivi, quando relax fa rima con grazia»; «Capo basic delle belle giornate per antonomasia, il vestito a fiori potrebbe annoiarci come un banale bouquet di rose rosse e invece, ogni estate, ci coglie di sorpresa, ci seduce come una composizione floreale perpetuamente reinventata, grazie soprattutto all’arrivo di vivaci stampati e di accessori ben assortiti». Un po’ dopo: «Ritornano le ciabattine» e «L’estate fa venire voglia di accessori clorofilla». Dopo ancora: «Dall’alba fino al crepuscolo, cool e chic allo stesso tempo. Col costume in spiaggia o con un vestito in città, le graziose gypset guardano trascorrere le ore.»6 Il tutto è accompagnato da foto in posa e da modelle che agiscono in sintonia con le didascalie: d’estate si afferma un modo particolare di essere e di vestirsi che, se viene presentato con prescrizioni di questo tipo, non ha più bisogno di essere anticipato da giustificazioni per adempiere alla sua funzione sociale. L’importanza non è ovviamente nel dettaglio e nemmeno nell’abbinamento delle tenute qui descritte. Si può persino ragionevolmente dubitare della loro capacità a rispondere ad un uso effettivo. Ciò che conta è nel principio che dà un senso collettivo a questa configurazione stagionale: il principio dei comportamenti estetici è di variare con l’estate, ed è innanzitutto di questa differenza ritualizzata, ripetuta ogni anno e di cui si può già percepire la tendenza verso un ammorbidimento delle regole di abbigliamento, che è fatta la moda estiva. Ecco esattamente da dove partire per cominciare: da dove viene, storicamente parlando, la prova di questa variazione estiva delle pratiche di abbagliamento che di rimando, poiché incarnano i valori collettivi relativi all’estate, danno vita alla stagione estiva?
È certamente possibile trovare una testimonianza, sempre più antica, sul fatto che le stagioni hanno sempre imposto modalità ben precise di vestirsi. Senza risalire più indietro, e senza dare un giudizio a priori sui principi dotti, estetici o morali che governavano allora i comportamenti in termini di abbigliamento, il Compost et Kalendrier des Bergiers del 1493 e ancor di più, appena più tardi, il Libro dei costumi del banchiere Schwarz, sono esempi sufficienti per dimostrare che le tenute estive apparivano più leggere e meno coprenti di quelle che si portavano il resto dell’anno7. La trappola è di catalogare questa storia come un semplice fatto di ordine naturale. Ora, non c’è niente di male a supporre che gli uomini e le donne adottino tenute meno coprenti in estate perché fa più caldo. Ma si dimentica che le manifestazioni stagionali che si considerano tanto volentieri naturali, come il caldo, l’intensità del sole o persino la qualità della luce, sono soggette a percezioni sociali molto variabili nel corso del tempo. «Non c’è niente di più ideologico del tempo che fa», diceva Barthes8. La variazione estiva delle tenute ne sposa i regimi mutevoli. Ci si può fare un’idea abbastanza precisa leggendo le raccomandazioni che la scuola della III Repubblica, così impegnata a favore dell’uniformità dei riferimenti simbolici e in particolare del contegno fisico, dispensava su tale argomento.
Le Nozioni di igiene ad uso degli istitutori, pubblicate nel 1877, in un periodo caratterizzato contemporaneamente dallo sviluppo del settore dell’abbigliamento e dalla standardizzazione delle forme e delle taglie9, sono categoriche: «I vestiti devono cambiare secondo le stagioni: bisogna vestirsi in modo pesante in inverno e non avere fretta al cambio di stagione di prendere i vestiti più leggeri.»10 Questi cambiamenti, la loro natura e il loro grado, non sono un libero esercizio dei gusti ma restano prigionieri del loro rapporto con la stagione estiva. È la paura di un’insolazione o di un colpo di calore, di cui a Parigi in particolare si contano ogni estate centinaia di vittime per congestione o emorragia cerebrale, che regola la metamorfosi estiva degli abiti11. Perché non bisogna «mai uscire a capo scoperto con il caldo torrido dell’estate», e perché portare copricapi pesanti comprime il cranio e «causa la caduta dei capelli», bisogna quindi «coprirsi la testa con grandi cappelli di paglia e mettere un panno di filo, un fazzoletto ad esempio, tra il cappello e il cuoio capelluto12».
Quanto al calore estivo, se impone tenute meno pesanti dell’ordinario, le minacce che gravano sulla salute richiedono di non oltrepassare la misura nel disabbigliarsi. «Durante l’estate, il sudore è piuttosto abbondante e bisogna stare molto attenti alle correnti d’aria, perché il freddo che procurano può interrompere bruscamente la traspirazione e far affluire verso gli organi interni la quantità notevole di sangue che una temperatura elevata aveva attirato verso la pelle». Perciò, prosegue il trattato, l’uso della flanella, «che ha preso sempre più spazio nelle nostre abitudini igieniche, è benefico: la canottiera di flanella tiene caldo d’inverno, mentre assorbendo il sudore in estate evita che si raffreddi sulla pelle13». Le «novità estive» che propongono i grandi magazzini a partire dal mese di giugno, e specialmente quelle del Bon marché de Boucicaut a Parigi, accolgono queste raccomandazioni: «Per sfidare i raggi incandescenti del sole, comprate la splendida alpaca.»14 La ricerca stagionale del cambiamento, che struttura sullo stesso ritmo l’economia dell’abbigliamento e le pretese sociali di eleganza, si inserisce in un principio di continuità. Se ne ritrova l’esigenza perfino in campo balneare dove si delineano le nuove usanze estive. L’inchiesta che conduce L’Illustration nel 1891 e le raccomandazioni che dispensa Femina a partire dal 1904 dimostrano quanto, anche sulla spiaggia, la stagione estiva è quella delle eleganze perpetuate. Il costume, «non troppo aderente, in modo da non disegnare troppo le forme, [e che] le donne un po’ in carne eviteranno o almeno sceglieranno a due pezzi», è importante perché permette alle signore di «continuare a recitare lo stesso spettacolo15».
É questo equilibrio, questo senso dell’armonia che vieta di svestirsi troppo, non perché sarebbe indecente ma perché è eccessivo. Le tenute estive, nel cambiamento che rappresentano, devono rispettare una giusta misura. Il calore impone certamente un ammorbidimento dei codici, ma tale ammorbidimento conserva e perpetua quello che si fa e si porta di solito. Abitudini estive e abitudini invernali appartengono allo stesso quadro d’insieme che vive delle variazioni disciplinate che passano da una stagione all’altra. Ma questa maniera di organizzare le cose sparirà nel periodo tra le due guerre.
D’estate, fai quel che ti pare
Negli anni 1920-1930 non si assiste a un semplice cambiamento nelle proporzioni della variazione estiva delle tenute, che tollererebbe una maggiore esposizione del corpo o l’abbandono della flanella, ma a qualcosa di più grande e di più forte: un’emancipazione della stagione che impone ormai di rompere quanto più possibile con il codice d’abbigliamento istituito e di fare riferimento solo a essa stessa per il modo di vestirsi. Le tenute estive, e specialmente quelle che prevalgono in questi decenni sulle spiagge, campo di battaglia dove si affermano l’abbronzatura, il denudamento e l’orizzontalità in pubblico, sono sottoposte a un esuberante rinnovamento. I costumi da bagno si generalizzano; si portano più sgambati e più attillati. Sono investiti di una nuova etica dell’apparenza ma anche del savoir-faire di un nuovo genere, che fanno di essi l’ambito di una profonda disputa nazionale. La transizione è brusca, ed è l’argomento preferito di una profusione di testi e d’immagini che non si stancano di definirla senza precedenti. Ed è forse nelle caricature, ironiche e mordaci di Le Rire, che si ritrova la sua espressione più riuscita. Nell’agosto del 1933, facendo la parodia dei reportage dalle spiagge, molto in voga a quei tempi, il giornale mette in scena il più «grande scandalo» che si sia visto da anni: un uomo è rimasto vestito in spiaggia, «comportamento decisamente anti-balneare e anti-sportivo», che non si vedeva più dal 192416. Il tono è ovviamente eccessivo ma indica la grande svolta del movimento in marcia.
La moda estiva si prende la responsabilità di una liberazione: non solo da quello che si porta nel resto dell’anno, ma dal principio stesso della moda. L’estate, dopo la guerra, mentre il paese è impegnato nelle grandi opere di rinnovamento, cambia di posto e di status. Diventa la stagione dell’istinto e della vitalità primitiva, la stagione in cui i corpi devono rinforzarsi, ritemprarsi e fare il pieno di salute esponendosi al sole. Non si potrebbe capire il nuovo regno dei costumi, pigiami e copricostume, tutti destinati ad offrire una nuova libertà al corpo, senza cogliere quanto i nuovi principi della moda si allontanano dalle vecchie prescrizioni mediche e dalle paure che alimentavano, per farsi carico dei nuovi dettami della stagione. Il sole non è più una minaccia; il caldo diventa qualcosa di piacevole che, affermano i medici, procura «un’impressione di euforia interiore», «una specie di realizzazione di tutto l’essere» poiché «non ci scordiamo che l’uomo è un animale dei paesi caldi17». D’estate, in altre parole, bisogna esporre il proprio corpo agli elementi naturali dopo averlo a lungo preservato. «Non perdete mai di vista, spiegano le riveste femminili di allora, che l’estate è la stagione dedicata alle attività all’aperto, agli sport e alla libertà.»18
I modi di vestirsi, o più esattamente di svestirsi, si misurano con la loro capacità di permettere un ritorno passeggero al naturale e all’istintivo. La vita da spiaggia, anche sulle pagine delle riviste intellettuali più serie, diventa «un brulichio di colori, di pelle, nel quale le gambe e le braccia si affermano […]. Le gambe nude delle giovani donne accanto a quelle dei giovani uomini, le braccia quasi si toccano, in una promiscuità sportiva che dà l’impressione di una grande libertà di allure19». La moda estiva, che ci guadagna un mercato significativo, dimostra una grande inventiva. In pochi anni, i costumi da bagno vengono sottoposti a un rimpicciolimento accelerato, lasciando esposta la parte superiore delle cosce, le spalle e la schiena; aderendo, in una misura sconosciuta fino ad allora, alle forme del corpo. «I costumi da bagno femminili diventavano, a vista d’occhio, sempre più scollati sul petto e sulla schiena, sottolineano la maggioranza dei cronisti di costume. Era forse l’effetto dell’acqua salata su stoffe poco resistenti, soggette al restringimento? Ci avremmo ingenuamente creduto se non ci avessero segnalato che alcune bagnanti erano state viste mentre scollavano i loro costumi a colpi di forbici.»20 Nell’estate del 1929, quindici anni prima del bikini, ha fatto la sua comparsa, nei grandi magazzini e sulle spiagge del paese, il costume a due pezzi, chiamato «bagno di sole», che segnerà l’apogeo di questa moda estiva rinnovata. L’ampiezza della transizione non sfugge più a nessuno. «E dire, nota il reporter di Vu nel 1930, che i nostri padri andavano in spiaggia con la jaquette, come se andassero a un consiglio d’amministrazione.»21
Durante questi decenni, che avranno una grande influenza sulle problematiche estetiche degli anni 1950-1960, la moda estiva gioca a scoprirsi, con gli effetti sovversivi che ciò rappresenta. Cerca costantemente delle “novità” per ribaltarne i principi. La moda del pigiama nell’estate del 1931 e i numerosi ripetuti ritorni al pudore animano questa storia. «Sulla scena del Grand Palais, dove attualmente si disegnano davanti alla folla i progetti della nuova moda, sabato scorso si è scoperto che il “completo da spiaggia 1935” consacrerà per il sesso femminile un ritorno decisivo al pudore». Il costume che arrivava fino all’inguine e lasciava intravedere l’inizio dei seni, lascia il posto a un pantalone al ginocchio, con sopra un vestito «che lascia libere solo le braccia». «Le donne, che quest’anno desiderano fare colpo in spiaggia, dovranno quindi spendere per nascondere ai nostri occhi le loro nudità, almeno lo stesso denaro che hanno speso l’anno scorso per esibirle con tanta generosità.»22 Ma, da un’estate all’altra, l’essenziale non è il grado di denudamento che prevede la moda estiva, ma la nascita di un ordine a parte delle tenute di abbigliamento, la cui novità dipende interamente dal sovvertimento delle pratiche estetiche abituali. Prima di tutto si tratta di assumere il controllo di una discontinuità dell’apparenza.
La spiaggia diventa, specialmente per le donne, uno dei luoghi per eccellenza dove si mette in gioco l’apparenza. «È quando vi mostrate in costume da bagno che sarete le più guardate e ammirate», avverte Ève nell’estate del 1939. «Il costume, prosegue Le Canard enchaîné, è l’indumento più difficile da portare perché rivela tutto e non perdona niente.»23 Si afferma allora, prima tra le classi medie colte, un ordine nuovo della cura di sé in preparazione dell’estate (depilarsi, sfinare la linea, snellire la pancia, ecc.), e con esso una nuova serie di inquietudini che si ritrovano nelle lettere delle lettrici: «Il mio seno è grosso e cadente, si lamenta una dattilografa su Votre beauté nel 1937; sono alta 1,70 m, non oserei mai mettermi in costume, sono disperata.»24 I comportamenti estetici dell’estate che prendono forma in quegli anni, un periodo in cui si assiste allo sviluppo dell’estetica professionale e dei “saloni di bellezza”, contribuiscono storicamente, senza alcun dubbio, a fare del corpo femminile un corpo per gli altri25. Ma limitarsi a questo significa non dire l’essenziale. La moda estiva, la forma mutevole delle tenute, la nuova esigenza di un savoir-faire personale che richiede l’abitudine annuale di indossarle in pubblico, tutte queste cose sposano e incarnano al contempo un sistema particolare dell’apparenza che appartiene solo alla stagione. O meglio ancora: che fa esistere la stagione estiva attraverso le tenute propriamente estive.
Ordine e disordine nell’apparenza stagionale
La moda estiva non vive grazie alla denudazione più o meno spinta. Essa si collega alle altre stagioni, non più tramite la metamorfosi delle tenute che impone, ma con il ribaltamento delle regole che organizzano queste tenute. L’estate, oramai, non rifiuta niente quanto le sofisticazioni e i dettami della moda. I completi da spiaggia, proclama l’insieme delle riviste femminili tra le due guerre, sono l’incarnazione della semplicità e della naturalezza. Una naturalezza ovviamente molto lavorata e che richiede un controllo dell’apparenza. Niente è più rifiutato delle pose e degli artifici. «È giunto il momento di abbandonare questa civetteria che è una preoccupazione permanente dell’inverno.»26 I costumi da bagno ne incarnano l’esigenza: «sono e non possono essere altro che semplici. Semplici quanto alla forma, al tessuto, alla decorazione», assicura Vogue nell’estate del 1930, che non esita a designare le paesane come le vere detentrici di questo savoir-faire libero da qualsiasi ricercatezza27.
È una stagione estiva completamente diversa che si afferma a quei tempi, e che s’incarna in questo gioco sociale delle apparenze. Avremmo torto tuttavia ad immaginare che questo movimento storico si è calmato, il torto di farne il luogo di uno slittamento surrettizio. Il fatto che la moda estiva che si inventa allora, o più esattamente l’ordine estivo dei modi di vestirsi, metta in gioco profonde riclassificazioni sociali, che l’inventario paziente delle tenute non lascerebbe vedere, provoca notevoli resistenze, lotte e risse, ormai dimenticate. Tra le due guerre, ci si ingiuria e ci si batte a causa della moda estiva28. I completi da spiaggia appaiono, alla borghesia tradizionale spesso vicina alla destra cristiana, come pratiche di «gentaglia» o di «teppaglia», come uno «spettacolo rivoltante», un «crimine contro l’estetica e contro la decenza29». Nel 1933, in diverse località francesi, Malo-les-Bains, Batz-sur-Mer, Sanary-sur-Mer, hanno luogo delle vere e proprie risse da spiaggia. Si svolgono tutte allo stesso modo: un gruppo di abitanti e di frequentatori abituali della spiaggia se la prendono con quelli che sfoggiano tenute che considerano intollerabili e, con pietre, calci e bastoni, gli somministrano delle «correzioni pubbliche» e finiscono per cacciarli. «Bravi! – esclama il clero locale. Non lasciate che porci e selvaggi prendano il sopravvento».
La lotta si organizza rapidamente su scala nazionale. Contro i costumi da bagno che giudicano troppo aderenti o troppo scollati, contro i copricostume che coprono poco, le principali leghe di lotta all’immoralità pubblica si mobilitano e mettono in piedi una gigantesca crociata morale che diventa la loro priorità per il «risanamento del paese». Ogni estate si sorvegliano le spiagge; volantini, manifesti, petizioni e una moltitudine di riunioni pubbliche, spesso tumultuose, si sforzano di denunciare le «tenute scandalose» e di mobilitare padri e madri contro il «libertinaggio dei costumi30». Si stabilisce un regolamento che consiste, in modo frammentario e allo stesso tempo coerente, in una moltitudine di ordinanze che stabiliscono quello che si può indossare d’estate sulle spiagge. Perlopiù precisano che le «tenute sconvenienti non saranno tollerate». Si esige l’utilizzo di un «costume da bagno decente», secondo una puntigliosa articolazione. A La Flotte, «l’uso dello slip o boxer corto e del costume di stoffa trasparente è formalmente vietato31». A La Rochelle, è vietato fare il bagno, circolare ed esporsi in spiaggia «senza essere vestiti con un completo da bagno o costume intero, ovvero che copra interamente il torso, il bacino e la parte superiore delle gambe32». A Arcachon, Biarritz, Saint-Brieuc, Wimereux e nel Basso Reno, le ordinanze sono ancora più precise: il costume «deve essere fatto in modo tale da coprire interamente le cosce, le anche, l’addome, il petto e la schiena33». Viene organizzata una polizia delle tenute e gli interventi e le rimostranze dei gendarmi si trasformano a volte in motivo di disputa sulle spiagge. Lo Stato stesso, o più precisamente il ministero dell’Interno e poi la Camera dei deputati, sono regolarmente sollecitati ad occuparsi della questione delle tenute estive.
In pochi anni viene stabilito un codice della variazione stagionale. Non quello che le amministrazioni municipali si sforzano di inquadrare, ma quello contro cui lottano. Quello che si afferma non riguarda tanto la natura effettiva delle tenute, né il modo in cui rompono con le abitudini di abbigliamento ordinarie, quanto quello che viene alla luce attraverso esse: ciò che si afferma allora, e i cui principi sono ancora validi più o meno fino ai nostri giorni, è la competenza sociale sulla variazione stagionale del modo di essere e di comportarsi. Al centro delle modalità di classificazione e distinzione tra gli esseri umani vi erano finora i ranghi, i titoli, le posizioni e le affiliazioni. In questi anni si assiste, al posto di questi vecchi principi, alla promozione dichiarata delle pratiche estetiche e in particolare della capacità estiva di liberarsi dalle regole abituali sul modo di vestirsi per adottarne di nuove. Con l’arrivo dell’estate, sapersi mostrare “naturali”, ribaltare le regole estetiche dell’abbigliamento, saper scegliere le tenute che più si allontanano da ciò che si fa nel resto dell’anno e, con molte più esigenze del resto dell’anno, mostrarsi comunque elegantissimi, tutte queste cose – che fanno apparire compassati, goffi o fuori luogo tutti quelli che non sanno stare al gioco della variazione stagionale – segnano l’avvento di un nuovo ordine dell’apparenza. E come pretendono coloro che ne adottano i principi, tale ordine è regolato solo dal libero esercizio dei gusti e dal ripudio delle mode. Ed è qui l’essenziale: il sistema estivo delle tenute, che si afferma nel periodo tra le due guerre, dà vita a un rapporto inedito con la stagione estiva. Non è più allora una stagione come le altre nella continua oscillazione delle mode, la primavera segue l’inverno, l’estate segue la primavera, ma una stagione di liberazione e di ribaltamento scrupoloso delle apparenze stabilite, che fa proprio di queste apparenze il punto di partenza per ricominciare tutto ancora una volta.
In altri termini, non si cambia solo d’abito quando arriva l’estate o perché arriva l’estate, si cambia soprattutto la posizione che occupano le tenute nell’organizzazione del mondo sociale. La moda estiva vale meno per quel che è (il look gypset e tutto quello che si vuole) quanto perché è sovvertimento di ciò che è. Essa fa allo stesso tempo apparire quanto la vita sociale delle apparenze, se così intendiamo il modo di vestirsi (o di svestirsi) e il tipo d’attenzione collettiva sulla maniera di essere vestiti (o svestiti), non rimanga sempre allo stesso livello durante tutto l’anno; ma attraversi fasi successive e regolari d’intensità crescente e decrescente34. In fondo, ciò che è in gioco tra le due guerre è un invito ad approfondire quella che resta sicuramente l’intuizione più feconda della Philosophie de la mode che Georg Simmel ha pubblicato nel 1905. La pluralità dei modi di essere, diceva Simmel, la molteplicità e persino le contraddizioni di cui sono fatti, e nel caso specifico l’alternanza stagionale alla quale sono soggetti, si rivelano decisivi nelle nostre esistenze: invece di costituirne una debolezza o un’incoerenza, ne sono «la forma strutturante definitiva35». Quello che è in gioco tra le due guerre e che si afferma in particolare nella moda estiva – ovvero in quel momento dell’anno in cui si possono contare i soprabiti, vederli sparire e affermarsi al loro posto l’evidenza di tenute che sono innanzitutto la negazione di tutte le altre tenute – è precisamente la storica metamorfosi di questa forma strutturante. E la lezione di questa storia è proprio qui: vi è, al centro delle pratiche estetiche, soggetta a trasformazioni che si deve fare attenzione a seguire e a ricomporre, qualche cosa di simile a una struttura dei modi di essere nel fatto di non essere sempre la stessa cosa36.
Serie n.1 Questa selezione di fotografie, pensata per l’articolo di Christophe Granger, fa parte della collazione personale di Emmanuelle Fructus della galleria Un livre – une image. Si tratta di fotografie anonime o di cartoline fotografiche che vanno dagli anni Trenta agli anni Sessanta e che ritraggono persone in costume, sulla spiaggia o sdraiate sull’erba. Le persone sono fotografate di spalle o distese, non sono in posa ma in un momento di abbandono, con il corpo in mostra, parzialmente svestito ed esposto al sole.
Serie n.2 Questa selezione di fotografie, pensata per l’articolo di Christophe Granger, fa parte della collazione personale di Emmanuelle Fructus della galleria Un livre – une image. Si tratta di fotografie anonime scattate intorno al 1949 che ritraggono una donna elegante e sorridente, forse fotografata da suo marito, le cui pose e tenute evocano l’estate e la varietà di linee e gesti che la contraddistinguono.