Fig. 1: s.t.
© Lou Damour
Mercoledì 30 agosto 1933, come i giorni precedenti, il tempo è bello a Parigi. Sono previsti 28°. È normale: è estate. La settimana precedente era iniziata con temperature miti e temporali, poi il 29 agosto, la giornata più calda del ritorno del bel tempo, la temperatura è salita fino a registrare 31 gradi. In questi ultimi giorni di agosto, i grandi quotidiani della capitale pubblicano ogni giorno bollettini meteorologici incoraggianti e raccontano l’attualità dei litorali: Nizza elegge la regina della spiaggia che appare in prima pagina nel suo costume da bagno; le vignette illustrano le gioie familiari e le disavventure dei vacanzieri in riva al mare; su una certa spiaggia alla moda, i clienti del casinò si affollano sulla terrazza per scorgere al calar del sole il raggio verde, ecc. Sulla prima pagina del Petit Parisien un articoletto intitolato «Ieri a Parigi: 31°» appare accanto a un lungo articolo dal titolo «L’avvelenatrice, per difendersi, accusa il padre che ha assassinato». Accompagnano l’articolo due fotografie a mezza figura di Violette Nozière, con un basco in testa, il volto nascosto dall’ampio collo di pelliccia di un lungo cappotto nero, che tiene chiuso con la mano destra. I giorni seguenti, mentre prosegue il resoconto delle attività sulle spiagge, quello che si affermerà come il ritratto emblematico della celebre parricida degli anni trenta, con molteplici varianti e inquadrature, viene esposto sulle prime pagine dei periodici e nei livrets des complaintes (libretti delle lamentazioni, ballate popolari che raccontano un fatto di cronaca, N.d.T.). Violette Nozière entra quindi a far parte della storia dei grandi casi criminali con un’immagine perlomeno fuori stagione.
«Il Natale di Violette»
Police magazine, 30 dicembre 1934 / Collezione Modes pratiques
«La verità sul crimine di Violette Nozière»
Drames… publication mensuelle de reportage judiciaire, settembre 1933 / Collezione Modes pratiques.
Un crimine di stagione?
L’incoerenza tra la stagione estiva e l’abbigliamento quanto meno autunnale, se non invernale, mi colpisce in quanto studiosa che scrive di storia nel 2017 e che in estate porta abiti che somigliano poco ai vestiti estivi indossati all’inizio degli anni trenta, di certo più coprenti e più formali. È forse il risultato di uno sguardo anacronistico che attribuirebbe alle stagioni di ieri i vestiti di oggi o ha veramente contato sull’effetto prodotto da Violette Nozière? Probabilmente non in modo consapevole, poiché nessuno degli osservatori dell’epoca, seppure così eloquenti sul parricidio sensazionale commesso da questa ragazza, ha notato il contrasto tra gli abiti indossati da Violette Nozière e il caldo «del bel mese d’agosto del 1933 che vuole finire in bellezza», per riprendere l’espressione del Petit Parisien1. Il resoconto – molto romanzato – dell’arresto della ragazza, mentre si dirigeva verso i tavoli all’aperto di una brasserie vicino a Champ-de-Mars, annota la differenza tra gli abiti dei clienti e quelli della criminale, ma senza indugiare troppo:
«Una terrazza illuminata dell’avenue de la Motte-Piquet, all’angolo con la piazza dell’École-Militaire, invasa da donne in abiti chiari e ufficiali in uniforme leggera estiva... Nella notte calda d’agosto, l’orchestra, dietro i vasi di palme, resuscitava tutta l’ebbrezza dei valzer viennesi… […]
All’improvviso, è apparsa.
Magra, sottile, in semplici abiti neri, camminava a passi svelti verso la brasserie.»2
Ma è possibile che questo contrasto abbia giocato un ruolo, anche solo inconsciamente, nello shock prodotto dal caso, alimentando questo effetto di irruzione nella trama quotidiana e nella coscienza collettiva tipico del grande fatto di cronaca. Nella dolcezza di fine estate, l’inverno, in senso metaforico, è arrivato all’improvviso. Come se questa faccenda girasse decisamente una pagina del grande libro delle stagioni, affrettando la fine dell’estate.
Esistono i crimini di stagione? A questa domanda, la vecchia criminologia naturalisante, che pretendeva di identificare alcune stagioni particolarmente propizie al crimine o a un certo tipo di crimine, rispondeva positivamente, ritenendo che esistessero effettivamente stagioni del crimine. Perciò, ad esempio, gli avvelenamenti erano considerati dei crimini femminili per eccellenza; si pensava che le donne subissero più degli uomini l’influenza del caldo; così si poteva affermare che gli avvelenamenti estivi erano più frequenti, perché «dipendevano dall’istinto genesico3». Il delitto di Violette Nozière è un crimine di stagione semplicemente nel senso che è stato commesso in una stagione precisa. È il 21 agosto, al domicilio familiare di rue de Madagascar, nel 12° arrondissement di Parigi, la giovane ha fatto bere ai suoi genitori dell’acqua con l’aggiunta di un barbiturico, riuscendo così a uccidere suo padre. Un crimine estivo, quindi. E un crimine delle vacanze. Come ha spiegato al commissario di polizia arrivato sul posto dopo la scoperta del dramma, Violette Nozière era sul punto di partire in vacanza nella località turistica dei Sables-d’Olonne. Il delitto ha preceduto un progetto di vacanza e forse doveva favorirlo; in ogni caso, alla fine lo ha ostacolato. Peraltro, ciò è vero anche per altri protagonisti del caso oltre alla criminale: al commissariato di Picpus, da cui dipende rue de Madagascar, il commissario era in vacanza e si è dovuto fare appello a quello del quartiere vicino dei Quinze-Vingt per procedere all’inchiesta sul flagrante delitto. Anche i testimoni erano in vacanza: come l’amante della parricida, in vacanza da suo zio nel Morbihan; e anche l’assistente farmacista di piazza Daumesnil che ha venduto il sonnifero, e che suo padre farà rientrare precipitosamente per andare a deporre davanti al giudice istruttore al fine di dissipare i sospetti di complicità che pesano su di lui. In sostanza, un crimine estivo, ma un caso da rientro dalle vacanze. Forse è questo che rappresenta l’abito portato da Violette Nozière, che ha anticipato l’autunno, in un momento in cui i giornali si soffermavano ancora sui «vestiti leggeri cui restano poche ore da vivere4».
«Avellenatrice. Violette Nozière confessato il suo atroce crimine»
Police magazine, 3 settembre 1933 / Collezione Modes pratiques.
«Il diario di Violette Nozière»
Détective, 4 ottobre 1934 / Collezione Modes pratiques.
Lo shopping dopo il veleno
Se non è sicuro che il contrasto prodotto dall’incoerenza tra l’abbigliamento della parricida e la stagione abbia avuto un significato per i contemporanei, al contrario, è certo che i vestiti di Violette Nozière hanno giocato un ruolo nella faccenda, ovvero nel modo in cui la giovane è stata percepita, facendo di lei un’icona dell’abominio criminale e un mostro femminile. Del resto, hanno avuto un ruolo concreto nell’inchiesta, a triplice titolo di segni distintivi, tracce materiali e di metonimia della criminale. Poco dopo la scoperta del dramma, in effetti, Violette Nozière si dà alla fuga; accusata e con un’ingiunzione di mandato d’arresto, il 24 agosto, è ricercata dalla polizia. Nella segnalazione diffusa dalla polizia, si nota la funzione di identificazione attribuita in modo classico ai vestiti, e in modo specifico, in questo caso, all’eleganza dell’abbigliamento:
«1,66 m, corporatura media, occhi marroni, capelli castano scuro, viso tondo, carnagione normale, molto graziosa, elegante. Vestita con un abito nero con il colletto bianco, un cappotto nero con una piccola pelliccia nera brillante intorno al collo, scarpe nuove nere, collant grigio scuro a piccole maglie traforate.»5
Le ricerche conducono gli ispettori della polizia giudiziaria nel Quartier latin, il quartiere preferito da Violette Nozière; al Grand Hôtel de la Sorbonne, la cameriera, su una fotografia che le viene mostrata, riconosce la cliente che ha preso una stanza il 22 agosto a mezzogiorno. Gli ispettori entrano nella stanza e vi trovano diversi oggetti che Violette Nozière ha lasciato dietro di sé: un portafoglio, una borsa nera, una scatola di veleno, una scatola di cartone contenente un paio di scarpe, una scatola di cartone «Aux corsets merveilleux», 66, rue de la Chaussée d’Antin, contenente degli effetti personali, in particolare un vestito blu, una scatola delle Galeries Lafayette con un cappotto marrone6.
Questi vestiti funzionano quindi come prove, attestando il passaggio di Violette Nozière all’hotel e al contempo fanno parzialmente luce sull’impiego del tempo dopo il crimine: lo shopping. Dopo aver fatto acquisti nella mattinata, la ragazza si è recata all’hotel dove si è cambiata, infilando i vestiti nuovi e lasciando nelle scatole quelli che indossava, ritrovati in seguito dai poliziotti. Bisognerà aspettare il suo arresto il 28 agosto, e i successivi interrogatori, per conoscere in dettaglio le sue occupazioni e gli acquisti del giorno che ha seguito il crimine: prima si è recata al salone di bellezza delle Galeries Lafayette poi, nello stesso grande magazzino, si è comprata un basco nero e un vestito elegante in seta, dello stesso colore. Dopo, ha continuato i suoi acquisti nel quartiere: una giacca a rue de la Chaussée d’Antin; un paio di scarpe a rue Taitbout. E infine, quattro bracciali in argento e due anelli di bigiotteria7.
Ma lo shopping costituisce anche una prova, nell’inchiesta giudiziaria, mediatica e sociale, della personalità dell’avvelenatrice, di cui sembra dimostrare la profonda malvagità. Così, avrà un peso nel delineare il ritratto psicologico e comportamentale di una criminale crudele, cinica e senza alcun rimorso, alimentando la figura di un mostro, tanto spaventoso quanto misterioso, a causa della sproporzione impressionante tra la gravità eccezionale di un doppio parricidio e la futilità della giovane. Probabilmente la cosa peggiore, nell’impiego del tempo del 22 agosto, non è stato lo shopping mattinale alle Galeries Lafayette ma, in serata, la danza in galante compagnia al Bal Tabarin di Montmartre, un’istituzione delle notti parigine; anche se il primo ha fornito alla giovane la panoplia completa per il secondo. Il giudice istruttore ricorderà questi dettagli schiaccianti, alla fine dell’istruttoria, al momento di trasmettere la procedura al procuratore generale, spiegando che Violette Nozière aveva dimostrato «un’immoralità e un’insensibilità assolute, pensando solo a divertirsi dopo aver avvelenato i suoi genitori e che si era recata agghindata al Bal Tabarin anche se doveva pensare che stavano agonizzando8».
«Processo Nozière»
Agenzia di stampa Meurisse, 1934 / BnF.
«Violette Nozière nei corridoi dell’istruttoria»
Agenzia si stampa Meurisse, 1933 / BnF.
Uccidere il proprio padre per un paio di volpi?
Ma il giudice Lanoire che si occupa dell’affare ha trovato nei vestiti ben più che una semplice prova di una futilità crudele: qualche cosa che somiglia a un movente, l’elemento essenziale dell’istruttoria di un crimine. Avendo constato che Violette Nozière aveva rubato del denaro ai suoi genitori dopo averli avvelenati, si era lanciato subito sulla pista di un dramma dell’avidità, prima che l’accusata, una volta arrestata, dichiarasse di aver voluto sbarazzarsi di un padre che la costringeva ad avere rapporti sessuali. Un dramma dell’incesto? Questa seconda versione del delitto è stata immediatamente scartata in quanto ignobile e inverosimile, vista l’impeccabile reputazione della vittima, un ferroviere lavoratore, puntale e apprezzato dai suoi superiori, e la reputazione deplorevole dell’accusata, ragazzina precoce, che aveva un’amante ed era sospettata di prostituzione. Sicuramente più accettabile, tenuto conto della mentalità del tempo che oppone un rifiuto pudico alle violenze sessuali incestuose, il movente dell’avidità, moralmente schiacciante, era anche più facile da provare dell’incesto. In ogni caso, gli acquisti di Violette Nozière sono serviti a rafforzare questo movente, insieme ad altri fatti (come i debiti) che potevano far pensare che la giovane avesse bisogno di denaro. I vestiti acquistati alle Galeries Lafayette erano onerosi: l’abito da sera era costato 450 franchi, ossia poco meno di una bicicletta Peugeot9. E il totale degli acquisti effettuati quel giorno raggiungeva poco più della somma necessaria a pagare l’affitto mensile (920 franchi) e circa un terzo del denaro di cui la famiglia disponeva ogni mese, tenuto conto che Baptiste Nozière, meccanico, apparteneva all’élite dei ferrovieri e riceveva una buona remunerazione10.
L’indagine per valutare i bisogni finanziari di Violette Nozière al fine di consolidare la tesi del crimine per interesse ha condotto i poliziotti in una pellicceria parigina molto nota, la maison Brunswick, al 62 boulevard de Strasbourg; la commessa ha raccontato che Violette Nozière era venuta al negozio la mattina del 12 agosto e aveva scelto un paio di volpi argentate al prezzo di 3000 franchi11; la cassiera ha precisato che aveva pagato 600 franchi di acconto e firmato una cambiale per il resto della somma: Violette, ne concluse il giudice, aveva un bisogno pressante di denaro, perché se non pagava la cambiale, avrebbe perso i soldi dell’acconto.
I dettagli dell’abbigliamento non assumono un significato di per sé, ma in un contesto che associa la civetteria e la mancanza di ritegno e si cristallizza intorno alla figura della “bambina viziata” il cui desiderio di piacere e il gusto per i piaceri della vita l’hanno condotta al crimine. Confondendo casualità con posteriorità (il ballo dopo il delitto) ma anche con anteriorità (l’acquisto dei vestiti prima del delitto), si afferma l’idea che la ragazza ha ucciso i suoi genitori per «far baldoria». Come dice una ballata:
«Per gli abiti, gli amanti, i piaceri
Il lusso e la dissolutezza
Questa bambola dal cuore di pietra
Avvelena senza un fremito»12
Tale ragionamento semplicistico introduce una nuova sproporzione, questa volta tra l’enormità del crimine e il movente derisorio, che non fa che aumentare l’orrore della vicenda. Risulta però conforme all’immaginario dell’avvelenatrice, figura criminale ripugnante, che riunisce insensibilità, desideri sessuali e tipici difetti femminili come la civetteria. E non è sostanzialmente diverso dalla lettura giudiziaria dell’affare, poiché il giudice, scartando definitivamente la tesi dell’incesto, chiude l’istruttoria con un movente vago: «avida speranza di ereditare», «desiderio sfrenato d’indipendenza» e «orgoglio smisurato» di una ragazza che «amava il lusso» e soffriva a causa delle modeste condizioni dei suoi genitori13.
Il look di una ragazza moderna
Così come appariva negli archivi giudiziari e nei giornali del tempo, Violette Nozière era una giovane che attribuiva molta importanza all’abbigliamento. Senza dubbio, il mondo della moda nutriva i desideri dell’adolescente: Violette Nozière sciorinava ai suoi amici e ai suoi amanti bugie che trasformavano sua madre in una sarta di Paquin o lei stessa in un’indossatrice della prestigiosa casa di moda. E alimentava anche le sue conversazioni, come ha confidato al giudice la sua amica Madeleine raccontando che la mattina del 22 agosto erano partite tutte e due «chiacchierando allegramente di artisti e di abiti14». Ma anche se l’alta moda è stata testimone di qualche ascesa folgorante, come quella di Coco Chanel, questo mondo non era a priori alla portata di una figlia di operai. Non arrivando a farne parte, la ragazza poteva però sognare ad occhi aperti e tentare di copiare i figurini di moda. Peraltro con un certo successo, poiché i testimoni ascoltati al Palazzo di giustizia hanno confermato che Violette Nozière era vestita «in maniera molto elegante15». Era questo il risultato del savoir-faire di sua madre che aveva fatto la sarta prima di diventare casalinga? Certo, ma solo in parte. Anche se Violette Nozière possedeva sicuramente più denaro di una ragazza del suo ambiente sociale (aveva spiegato al giudice di avere un protettore che le dava dei soldi), il suo sembra un esempio significativo degli effetti dell’ascesa del mercato dell’abbigliamento tra le due guerre: la generalizzazione di un prêt-à-porter abbordabile che permetteva a una giovane parigina di umili origini, graziosa, alta e con un bel fisico, di acquistare vestiti alla moda e di imitare le figure affascinanti delle riviste di moda o del cinema16.
La Samaritaine, catalogo inverno 1932-1933
Collezione Manuel Charpy.
La democratizzazione dell’eleganza ha a che fare con la pubblicità, decisiva nel funzionamento di una società dei consumi allora in pieno sviluppo. Infatti, non è un caso che Violette Nozière abbia fatto acquisti da Brunswick, il pellicciaio di boulevard de Strasbourg che aveva saputo realizzare delle campagne pubblicitarie al tempo stesso innovative e straordinariamente efficaci. Per fare ciò, si era servito del talento del giovane pubblicitario Marcel Bleustein, proprietario di Publicis, che nel 1929 aveva trasferito la sua agenzia al 62 boulevard de Strasbourg, in un locale che Jacques Brunswick utilizzava per conservare le sue pellicce. Bleustein era riuscito a convincere Brunswick a trasmettere una pubblicità su Radio Tour Eiffel e ne aveva scritto il comunicato; l’indomani mattina, due signore eleganti si erano recate al negozio dove avevano comprato pellicce per 4000 franchi17. Bleustein aveva così scoperto il filone della pubblicità radiofonica, con un’efficacia dimostrata dai risultati delle vendite, e con Brunswick come primo cliente. Il pubblicitario gli assicurerà una grande notorietà grazie alla sua arte dello slogan, abilmente costruito, umoristico e musicale con un ritornello che rimaneva impresso nella mente: «Brunswick, le fourreur qui fait fureur!» – (Brunswick, il pellicciaio che fa furore!) – è entrato nella storia della pubblicità.
Pubblicità per il pellicce Brunswick, 62 Boulevard de Strasbourg, marzo 1936
Collezione Modes pratiques.
Brunswick si fa pubblicità anche sui giornali, vantandosi di essere «il meno caro ma un buon pellicciaio». Argomento che ovviamente seduce le clienti dalle risorse limitate, tanto più che in estate la pellicceria fa i saldi. «Comprate una pelliccia in estate... e risparmiate», recita il messaggio pubblicitario inserito tra le pagine di moda delle riviste. Per tutto il mese d’agosto, Brunswick annuncia volpi e cravatte vendute a «prezzi estivi senza precedenti». Argomenti convincenti per una ragazza che sogna di indossare abiti eleganti senza poterselo permettere e che desidera ardentemente una pelliccia di volpe argentata, la più cara.
Violette Nozière si darà da fare dunque per conciliare il suo desiderio di emulazione e le sue risorse finanziarie. La conformità del suo aspetto ai gusti del tempo dimostra che seguiva i consigli della moda. Nella prossima stagione invernale, si legge nelle rubriche di moda dei periodici pubblicati durante l’estate, le silhouette sono sempre slanciate e si assiste al ritorno di una moda più elegante e raffinata, perciò l’importanza delle pellicce, che non potranno mancare persino sui cappotti più semplici. Se si crede a Jessie, che presenta la moda invernale sulle pagine patinate del settimanale Candide consacrate alla moda, le pellicce approvate all’unanimità dagli stilisti per questa stagione sono le volpi di qualsiasi tipo e colore18: cosi, scegliendo un paio di volpi, Violette Nozière non ha fatto altro che seguire i dettami della stagione. E se non le ha indossate, non avendo potuto completare l’acquisto, almeno sfoggiava una pelliccia sul suo cappotto. Il cappotto di Violette visibile sulle fotografie ha la forma di un lungo paletot dritto, in tessuto di lana nero, con un voluminoso collo a scialle in pelliccia (di castoro?) che arriva fino al giromanica. Simile al cappotto «classico» sfoggiato nelle pubblicità dei giornali; si tratta probabilmente di un acquisto dell’anno precedente, quando le spalle erano meno accentuate rispetto ai modelli dell’autunno del 1933 e i colletti di pelliccia erano già in voga; l’aspetto di Violette Nozière appare in ogni caso conforme alle silhouette dell’inverno precedente che riempiono le pagine del Petit Écho de la Mode.
Colore: il trionfo del nero. Ma c’è anche la moda, nuovissima, del blu marino, consigliato in particolare per l’abito del pomeriggio, ed è proprio il colore del vestito che Violette indossava il 22 agosto19; si annuncia anche la moda del grigio chiaro ed è il colore della giacca che acquista quel giorno. Infine, in un’epoca in cui il cappellino toque si aggiudica tutti i consensi, il basco in velluto offre una variante apprezzabile: pratico ma elegante a qualsiasi ora della giornata, specialmente se nero, da portare sia a Parigi che a Deauville, e soprattutto poco costoso (20 franchi). Si porta molto inclinato davanti, sul lato destro20. Per sfoggiarlo non c’è bisogno di un carré corto alla maschietta, taglio simbolico degli “années folles”, i ruggenti anni ‘20, che Violette Nozière aveva qualche anno prima; da allora, portava i capelli corti con la riga di lato e li ondulava con i bigodini. Proprio come il 22 agosto, come si vede sulle fotografie che sono state prese dopo il suo arresto. Sopracciglia sottili e rossetto completano il look, che non è esclusivamente una questione di abbigliamento; l’esplosione dei saloni di parrucchiere21 così come la nascita di un mercato della bellezza contribuiscono anch’essi alla democratizzazione dell’aspetto e alla creazione di un sex-appeal che la pubblicità e il cinema rendono desiderabili. Il trucco e gli accessori che Violette Nozière teneva nella sua borsa (portacipria, pinzette, bocchino) suggeriscono una cura del suo aspetto per somigliare alle Hedy Lamarr, le Joan Gale o ad altre versioni brune di Joan Harlow.
Cosa cercava Violette Nozière in un guardaroba alla moda e nel trucco? Probabilmente esprimevano il suo desiderio di ascesa sociale, dal momento che lo sviluppo della società dei consumi poteva facilitare la metamorfosi di una ragazza figlia di operai in una borghese22. Ma in un’epoca in cui l’uniformità identitaria dell’abbigliamento giovanile è debole, in mancanza di un vestiario autonomo, l’abito incarna anche il desiderio di apparire più grandi, di costruirsi un corpo seducente e di essere donna. Trasformando il corpo in oggetto di predilezione degli uomini, uno spazio di possibili scambi con altre persone oltre ai genitori, la questione dell’abbigliamento diventa un’affermazione di autonomia, segnala il desiderio di emancipazione dai genitori e mostra quello a cui l’età adulta dà accesso: il sesso. Violette Nozière, 18 anni, con i suoi amanti, i suoi vestiti alla moda e le sopracciglia depilate incarna “la ragazza moderna”, che accede ai consumi, nel doppio senso economico e sessuale e in cui i conservatori di ogni sorta vedono il segno inquietante di una fatale liberalizzazione dei costumi.
Girando intorno alla trasgressione di due grandi tabù, il parricidio e l’incesto, il caso Nozière ha avuto una notevole risonanza, dando luogo a dibattiti appassionati e a una profusione di discorsi in cui i vestiti non sono stati assolutamente l’elemento più commentato. È certo che, invece, sono stati, insieme al volto e allo sguardo della parricida, l’elemento più visto. In effetti, questo clamoroso caso giudiziario è in parte il risultato di una nuova cultura visiva che sta per nascere, con l’esplosione della fotografia negli anni ‘20 e il suo enorme sviluppo sulla stampa. «L’immagine è la regina del nostro tempo. Non ci accontentiamo di sapere, ma vogliamo vedere», scriveva nel 1931 Paris-Soir23, giornale il cui successo folgorante a partire dal 1930 è dipeso dal fatto di aver capito questo cambiamento del rapporto con l’immagine in atto nella società e l’importanza dell’aspetto visivo. Perciò, vedere la criminale, il cui ritratto, a seconda delle diverse inquadrature, domina le prime pagine o le rubriche interne dei quotidiani o dei settimanali di cronaca, è stato tanto importante.
quanto seguire i dettagli dell’inchiesta e comprendere le motivazioni del suo atto. I lettori dei giornali non erano Mayeul, il vicino di pianerottolo svegliato il 22 agosto, poco dopo un’ora del mattino, da Violette Nozière che, tornando da Montmartre e volendo far credere al doppio suicidio dei suoi genitori, aveva bussato alla sua porta per dare l’allarme: «Violette Nozière, dirà il vicino al giudice istruttore, era in abito da ballo.»24 Per tutti quelli che non hanno potuto vedere con i loro occhi la parricida “vestita a festa”, restavano le fotografie della stampa per immortalarne il ricordo attraverso l’immagine di una ragazza truccata, col basco inclinato, il cui volto emerge da un ampio collo di cappotto in pelliccia nera; oltre allo sguardo grave che rivela un animo colpevole e opaco, la mise che esprime malizia, seduzione, sessualità è un elemento essenziale del ritratto del «fiore del male» degli anni ‘30, sbocciato in una stagione in crisi25.
La Samaritaine, catalogo inverno 1932-1933
Collezione privata.