s.t., 2016.
Arazzo (basso liccio) realizzato nel laboratorio della Manufacture des Gobelins, Parigi, 2,10 x 3 m
© Pierre Dumaire
In apparenza, tutto sembra opporre il naturismo e la moda. Da un lato il ritorno rivendicato alla natura1, all’autenticità e alla purezza incarnate dalla nudità dei corpi, secondo un’impostazione che si vorrebbe a- o in-temporale ; dall’altro, l’artificio, la sofisticazione, e il superficiale consumati nella sfera del provvisorio. Ma arrestarsi a questo equivarrebbe a conoscere assai male sia, da un canto, ciò che è stata l’evoluzione del naturismo, sia, d’altro canto, ciò che la moda rappresenta, i suoi usi e significati. Due fatti svelano i legami contraddittori che uniscono questi fenomeni, tra i più complessi. Agli inizi del ventesimo secolo, la moda femminile suscita critiche unanimi tra i promotori del naturismo. Il corsetto, emblema della femminilità borghese, è oggetto di attacchi di ogni genere. Le deformazioni corporee che genera e, più in generale, le conseguenze nocive sulla salute delle donne, simbolizzano in effetti gli errori di una società artificiale, urbana, che ha perso la bussola indicata dalla natura. Secondo esempio altrettanto edificante è il sarto camiciaio parigino Jean Michou, che rivendica il titolo di « fornitore ufficiale dei naturisti2 » nella rivista Naturismo dei dottori Gaston e André Durville. In questa occasione, si autoproclama « grande specialista del pantalone naturista senza cintura né bretelle ».
L’ambiguità che risulta da questi esempi invita naturalmente a interrogarsi sui rapporti che intrecciano il naturismo e la moda nel corso del tempo ; a prendere coscienza, per esempio, del fatto che il corpo nudo non è la sola via di affermazione del naturismo e che esiste tutto un insieme di tenute, di abiti, giudicati più o meno rispettosi dei valori del naturismo. Per andare più in là, conviene concepire il naturismo non soltanto come filosofia, discorso idealista generatore di pratiche, ma anche in come oggetto di consumo, situato socialmente e storicamente.
Questa impostazione suppone di reggere insieme diversi fili. Per essere più precisi, si tratta di osservare in che modo gli adepti del naturismo, qualunque sia la forma che assume questo fenomeno a partire dalla sua invenzione nel XVIII secolo, si posizionano nei confronti della moda, nell’abbigliamento in particolare ma non solo, e della società di consumo3 che la sottende. Che discorsi si tengono a tale riguardo ? Quali sono i rapporti esistenti con le pratiche di consumo ? Lo si intuisce : il corpo naturista non sfugge ai fenomeni delle mode e la nudità può essere considerata, in quanto rivestimento corporeo, come una forma di abito, e dunque, in quanto tale, soggetta anch’essa alle mode, all’immagine dell’abito4.
Tre punti salienti scandiranno l’esplorazione di questa relazione particolare tra moda e naturismo. In questa occasione, osserveremo che il naturismo impone all’inizio di rompere con il diktat della moda, con i codici dell’abbigliamento propri della borghesia a vantaggio di un’igiene di vita assai rustica. Tra le due guerre, la sua ascesa si avvantaggia dei fenomeni di moda, in particolare con l’ascesa del costume a due pezzi e con l’attrazione crescente per il corpo abbronzato, simbolo di salute e vitalità. Tuttavia, la sua evoluzione è sempre più caratterizzata da un’oscillazione, una danza esitante tra impegno idealista di ogni istante e passione temporanea. Negli anni Sessanta il nudo è di moda. Il naturismo è allora combattuto tra gli imponenti centri di vacanza, dove la nudità si consuma su grande scala, a discapito dello spirito naturista, e i club locali, che si sforzano di alimentare la fiamma idealista e una nudità « senza complessi », liberata da ogni tabù e osannata da una parte della gioventù nata dal baby boom. In parallelo, assistiamo all’ecologizzazione delle pratiche di consumo dei naturisti, abiti compresi.
LIBERARSI DALLE CONVENZIONI DELL’ABBIGLIAMENTO PER RITROVARE LA SALUTE
L’invenzione del naturismo
L’invenzione del naturismo, segnata dalla comparsa in Francia del concetto di « naturista », e poi di « naturismo » nel XVIII secolo, non ha molto a che vedere con la moda dell’abbigliamento, e ancora meno con la nudità. Alle sue origini, il naturismo designa in effetti un metodo medico neo-ippocratico, basato sull’idea di una natura medicatrix, di una natura medica delle malattie che trovavano da sole la via della guarigione. Attraverso la sua formalizzazione, si tratta di riaffermare una tradizione che si stava perdendo di fronte all’avvento della medicina allopatica, all’ascesa sempre più potente di una concezione interventista, addossata alla scienza e volta a combattere le manifestazioni della malattia con una farmacopea chimica sempre più elaborata.
Il temine « naturismo » è in effetti creato per designare i medici che si rifanno all’eredità di Ippocrate e più in generale agli autori « classici » che hanno praticato nell’Antichità. Esso designa dunque una concezione molto filosofica della medicina che fino al XVIII secolo ha ampiamente dominato la medicina europea. Una concezione della malattia, del malato, del suo corpo, e al di là di una visione del mondo che riposa sull’analogia tra macrocosmo e microcosmo. La medicina naturista copre anche una vasta gamma di pratiche sanitarie. Tuttavia, non si fa alcun ricorso alla nudità né agli elementi naturali per aiutare la reazione naturale curatrice, in quanto il medico naturista gioca essenzialmente sulle polarità termiche.
Con l’arrivo del positivismo, l’avvento del laboratorio e le nuove scoperte, i principi secolari, millenari sui quali la medicina naturista si basa sono rimessi in discussione. Alla fine, in questa ‘querelle’ tra moderni e antichi, la medicina naturista sembra destinata a scomparire, a più o meno breve termine. Contestata, condannata da eminenti scienziati come Claude Bernard, essa sembra appartenere, nel migliore dei casi, al passato, e nel peggiore, apparentarsi al registro dei ciarlatani.
Il corpo alla prova della natura
La salvezza del naturismo prende forma al di là del Reno, il che dimostra, se ci fosse stato bisogno di sottolinearlo, l’importanza della circolazione culturale a livello europeo. De facto, sotto l’influenza di cure naturali inventate in certi paesi germanici, nel XIX secolo il naturismo si costituisce in quanto settore commerciale fiorente. Vi guadagna una nuova giovinezza e una nuova panoplia di pratiche e applicazioni. Senza rinunciare all’idea primaria di una natura curatrice e dai principi ippocratici, si declina ormai sotto forma di una terapeutica e un’igiene di vita fondata sul ricorso agli elementi naturali – tramite i bagni di acqua, aria e sole – e invita a una nudità più o meno necessaria.
La novità di queste terapie non sta tanto nelle modalità delle cure, ma in primo luogo nel successo fenomenale che incontrano presso un pubblico agiato, che nulla, di primo acchito, sembrava predisporre all’adesione a esse. E a buon diritto : Prießnitz (1799-1851), considerato come uno dei pionieri delle cure naturiste, all’inizio è solo un semplice contadino, che ogni tanto cura i suoi congeneri di Gräfenberg, piccolo villaggio di montagna nella Silesia austriaca, tramite la sua Wasserkur (cura delle acque). Visto il successo ottenuto, nel 1822 apre uno stabilimento di cura assai rustico, a immagine delle cure che vi prodiga e delle condizioni di soggiorno dei pazienti. Ben presto vi si affollano le teste coronate di tutta Europa, tra le quali il duca di Nassau, il principe del Liechtenstein, la zia del re di Prussia, e la principessa Gortschakof. Il re Ludwig I di Baviera e il suo omologo di Prussia vi inviano, nel 1830, la loro delegazione medica, al fine di poter aprire nel loro proprio paese centri di cura simili. E a partire dal 1849, si contano ventitré stabilimenti di questo tipo in Francia.
Come spiegare allora il successo che incontra lo stabilimento del guaritore della Silesia, presso l’alta aristocrazia europea così come il grande pubblico ? La cura presuppone di abbandonare ogni nozione di comfort, soprattutto negli abiti. Si fonda su un contatto intimo con la natura in tutta la sua rudezza, in particolare quella delle acque fredde.
Ma il metodo si basa altrettanto sulla rusticità della vita che conducono i pazienti durante la cura, su un’igiene di vita molto severa che non si cura delle distinzioni sociali. A Gräfenberg, i pazienti conoscono il freddo, la fame, i brividi dovuti agli choc termici, la stanchezza, come riferisce il Dr. Bigel, curato da Prießnitz stesso : « Non si può evitare, nel corso della cura, un malessere generale, un sonno irrequieto, un aumento d’irritabilità, movimenti febbrili, infine eruzioni, ascessi, diarrea e, a volte, vomito. »5
In un momento in cui le riviste di moda sono sempre più numerose, in cui lo shopping prende il volo con l’apparire dei grandi magazzini, mentre si afferma la cura dell’apparenza per chiunque voglia difendere il suo rango, la cura naturista sembra andare controcorrente. I pazienti devono portare abiti leggeri qualunque sia la stagione, al fine di favorire il contatto con l’aria delle montagne. I letti sono molto rudimentali, le coperte in numero limitato, nonostante s’imponga che le finestre degli alloggi restino aperte. Quanto al regime alimentare, è frugale : composto essenzialmente da verdura, latte, e pane nero. L’acqua fresca è la sola bevanda ammessa.
La cura naturista : una risposta all’angosciante modernità ?6
Si potrebbe pensare che siano proprio queste regole, all’inizio sgradevoli per degli individui appartenenti alla sfera dei privilegiati, ad aver causato il successo delle cure naturiste. Questo può essere compreso, almeno ipotizziamo, alla luce degli sconvolgimenti di cui sono preda gli stati europei. La cura naturista è in fine una risposta alle angosce generate dall’avvento della modernità7, ciò è dimostrato dall’incubo della degenerazione8 e dalla sensibilità esacerbata all’inquinamento industriale9, al rinnovo dell’aria10, all’urbanofobia11. Industria e città, questi « baratri della specie umana [ove] le razze periscono e si degenerano12 », secondo Rousseau, allontanando l’individuo da una natura salvifica. La cura è a questo punto una risposta agli interrogativi esistenziali che segnano queste generazioni e si traducono nella nascita del romanticismo13.
Dunque, più che la riconquista della salute e di un corpo che il comfort ha troppo rammollito, possiamo supporre che sia una ricerca di punti fermi, di senso, che spinge i pazienti verso le sommità isolate di Gräfenberg. Abbandonandosi totalmente alla Wasserkur, i pazienti riscoprono il loro corpo, se ne riappropriano, respingendone i limiti. L’avventura corporea alla quale si abbandonano è anche un’avventura interiore. Se vi ritrovano la salute, se riguadagnano forza e vitalità, vi trovano anche un sentimento d’esistenza rinnovata e un modo di « sentire il corpo per meglio scoprire il senso di sé14 ». Abbandonandosi alla cura, non si tratta forse, come nota Georges Vigarello, « di ricercare l’inatteso, arricchirsi tramite la sorpresa, misurarsi con l’intensità, scoprire nuovi terreni di prospezione » generatori di sensazioni e dunque di senso di sé ?
Finirla con l’abbigliamento contro natura
Pur con il loro lotto di innovazioni, i continuatori di Prießnitz più noti e influenti, siano essi Johan Schroth, l’abate Sébastian Kneipp, oppure Arnold Rikli, non derogano alla regola fondamentale costituita dalla rusticità della vita dei pazienti. Il promotore A. Rikli, oltre ai bagni d’acqua, aria e luce, fa così costruire degli alloggi senza facciata nel suo stabilimento che si trova a Veldes, in Silesia austriaca, e che chiama « capanne d’aria ». A Wörishofen (Baviera), Kneipp, che deplora senza posa la « mollezza » nuova dei suoi contemporanei, preconizza la marcia a piedi nudi nella rugiada del mattino15.
Gli obblighi di vestiario sono particolarmente additati, come si esprime uno dei discepoli di Kneipp, l’abate Nicolas Neuens, mettendo in risalto il fatto che gli individui « sono convinti che il loro abbigliamento sia perfetto, che tenga caldo e protegga contro le intemperie, e non si rendono conto che il loro modo di vivere e di vestirsi è contro natura16 ». Come sottolineato da Arnaud Baubérot, è « l’insieme dei codici dell’abbigliamento, con i quali le norme del saper vivere della borghesia assicurano il mantenimento e il contenimento del corpo17 » ad essere rimesso in causa : « i cappelli, le cravatte, le sciarpe, le maniche e i polsini […] gli strati molteplici degli abiti, le giarrettiere, le ghette, le scarpe strette e a punta, i tacchi alti18 » si vedono definitivamente condannati.
I pionieri del naturismo impiegano parte considerevole della propria energia a diffondere le loro terapie, ma anche un’igiene di vita che permette di prevenire la comparsa delle malattie e quindi rigenerare la razza. Le cure naturali danno luogo a un vasto movimento popolare di riforma che tocca la maggior parte degli stati tedeschi. Fin dagli anni Trenta del XIX secolo, le cure naturali sono largamente diffuse in seno ad associazioni – le Naturheilvereine – che si federano progressivamente e aprono centri nelle periferie delle città, dove si possano praticare quotidianamente i bagni d’acqua, d’aria e di sole.
Questa diffusione è accompagnata da nuove evoluzioni. Per quanto riguarda lo svestirsi l’argomento sanitario è completato e a volte superato da considerazioni d’ordine più filosofico, facendo della nudità la condizione necessaria alla « liberazione dalle determinazioni storiche e sociali giudicate alienanti19 ». L’abito, nelle sue declinazioni sempre più confortevoli e sofisticate, è di conseguenza percepito da alcuni come un ostacolo alla rigenerazione della razza tedesca, e da altri come un ostacolo alla libertà, secondo una prospettiva liberale, per non dire libertaria. In questo modo il naturismo tedesco s’inoltra nella via della riforma della vita. I movimenti che si affermano all’alba del XX secolo mirano esplicitamente a modificare il modo di vita degli individui, a cambiare la società. Promuovono dei veri e propri programmi politici riformisti.
La promozione del « costume naturista »
L’evoluzione delle cure naturali non è esente da contraddizioni. La moda delle cure naturali, in effetti, è indissociabile dallo sviluppo delle stazioni balneari, termali e climatiche. Molte di queste tra l’altro inseriranno nel loro arsenale di trattamenti la cura d’acqua di Prießnitz e le sue declinazioni. Dal canto loro, esse influenzano a loro volta gli istituti naturisti che vengono via via aperti, sulla falsariga di Gräfenberg. Dinamizzate dalla frequentazione dell’aristocrazia viennese, le cure naturali diventano ben presto alla moda. E infatti prendono rapidamente la stessa direzione delle grandi stazioni climatiche. Alla rusticità dei locali succede il lusso di impianti monumentali, come nel caso dell’istituto aperto da Friedrich Eduard Bilz nel Saxe, a Dresde Radebeul, intorno al 1890. Lo slogan che appare sui dépliant del Naturheilanstalt deve d’altronde dissipare la reputazione assai rigorosa delle cure di Prießnitz : « Cure felici. »20 Ristorazione di qualità, giochi, animazioni, che avvicinano così i centri naturisti ai centri di vacanze, di svago, in cui oltre a una salute migliore si vengono a cercare divertimento ed esotismo.
La cura naturale si ricollega dunque ai codici borghesi e aristocratici. Gli istituti naturisti diventano a loro volta dei luoghi in cui l’aristocrazia si mette in mostra, e si sfoggiano tenute alla moda tra una seduta di cura e l’altra. E di conseguenza le cure stesse diminuiscono di intensità. All’azione violenta dell’acqua fredda succedono tutta una panoplia di applicazioni parziali, accessibili a un grande pubblico, soprattutto femminile e infantile. La natura è addomesticata, messa in ordine, organizzata, sia all’interno dell’istituto che nei suoi immediati dintorni. La sua azione è regolata e controllata, parametrata in modo sempre più preciso. Nonostante la scomparsa di Prießnitz, di Rikli e di Kneipp, gli istituti di cure naturali prosperano e fanno ormai parte di una industria del benessere e del divertimento21.
In parallelo si sviluppa un gran commercio lucrativo relativo a prodotti naturisti, in particolare quelli consigliati dall’abate Kneippag. Alcuni negozi si specializzano nella vendita di vestiti, alimenti, tinture, opere naturiste. I processi di fabbricazione sono convalidati dai « maestri » del naturismo e attestati tramite certificati d’autenticità. Kneipp, in effetti, è « contro i vestiti di lana in contatto immediato con il corpo22 ». A essa preferisce la tela secca e solida, di lino o canapa, una specie di seconda epidermide [poiché] non rammollisce la pelle, ma le procura delle sane frizioni23 ». Il sandalo Kneipp, portato in ogni stagione, diventa uno degli accessori emblematici di ogni naturista che si rispetti.
In Francia è il farmacista naturista Jean Favrichon a regnare su questo settore commerciale. Nel 1893, installa una fabbrica a Saint-Symphorien de Lay per la preparazione di alimenti e prodotti farmaceutici secondo i precetti di Kneipp, che ha conosciuto. All’alba del XX secolo, egli è già alla testa di diversi negozi al dettaglio a Lione e Bordeaux e di una rete di trecento corrispondenti.
Dei medici igienisti all’avanguardia
Se nei paesi germanici il naturismo si sviluppa in gran parte in margine della medicina ufficiale e dà luogo ad una accettazione precoce da parte delle masse, in Francia non succede la stessa cosa. O, per meglio dire, si verifica con un certo ritardo. La diffusione del naturismo opera essenzialmente in Francia tramite e sotto il controllo dei medici igienisti, che aderiscono alla dottrina neo-ippocratica. Il successo economico che accompagna il fiorire del settore delle cure e trattamenti tramite la natura non è probabilmente estraneo a questo fenomeno, così come un contesto politico e socioeconomico segnato dalle crisi e da tensioni.
Ed è proprio con l’aumento delle preoccupazioni politiche relative all’igiene e alla salute dei popoli che il naturismo conosce un nuovo slancio. Al punto che è difficile, all’alba del XX secolo, dissociare l’igienismo dalle tesi naturiste, in particolare dalla condizione di un necessario ritorno alla natura, come fa osservare il Dott. Baradat in occasione del primo Congresso di climatoterapia e d’igiene urbana, tenutosi nel 1904 : « “Della natura ovunque”, dicono da ogni dove gli igienisti e i medici. ‘Allontaniamo dalle nostre città i nostri malati e le persone cagionevoli, rendiamoli a questa buona vita naturale in cui troveranno a dovizia l’aria e la luce’. »24 Si prende in considerazione il fatto che l’individuo si sia disabituato alle condizioni naturali di vita25. Nel 1913, il dott. Rouhet si fa portaparola di questa convinzione che attraversa tutto il diciannovesimo secolo e che vuole che la società industriale moderna non sia favorevole allo sviluppo della specie. Con accenti profetici egli si chiede :
« Cosa pensare di questa civiltà che ci promette, in un futuro più o meno prossimo, una razza di nani, con muscoli flaccidi e senza energia, membra gracili, volti da antropoidi inferiori e teste grosse come idrocefali, incapaci ben presto di muoversi da soli, che percorrono la terra soltanto in sella a delle biciclette, comodamente installati in delle automobili, sdraiati mollemente sulle cuccette dei vagoni letto, o appollaiati su dei biplani. »26
Vengono ripresi i discorsi e le pratiche usate di là dal Reno, che sono oggetto di una riappropriazione. Segnati dal neolamarckismo, i medici naturisti e igienisti ritengono in effetti che la salvezza della razza passi da un’igiene di vita rispettosa delle leggi della natura. Ed è forti di questa convinzione e di un arsenale terapeutico e igienico rinnovato che pubblicano articoli e saggi, e aprono case di cura. Appoggiandosi al loro settore d’esperienza, se la prendono a loro volta con certe pratiche di consumo, tra le quali l’abbigliamento. Ancora una volta il fatto di portare il corsetto, costume proprio della borghesia, cristallizza la vendetta naturista e igienista. Il dott. Albert Monteuuis attacca quindi « la situazione igienica della donna agiata che si sottopone alle esigenze della toilette e alle abitudini mortali della sua posizione sociale27 ». E tra queste ultime, il fatto di portare il corsetto è al primo posto, poi seguono la vita sedentaria, la cattiva igiene alimentare…
Questa riflessione si orienta naturalmente verso i bambini, futuro della razza. La riforma della scuola tanto agognata da un buon numero di igienisti passa così tramite il ricorso ai bagni d’aria e di sole in classe, e la pratica della ginnastica e di giochi all’aria aperta, ma anche tramite uniformi scolastiche più adeguate. In Germania le scuole della foresta (Waldschule), in Svizzera le scuole al sole del dott. Auguste Rollier, e le prime scuole all’aria aperta francesi, testimoniano l’approccio istituzionale verso queste raccomandazioni. Alcuni metodi di educazione fisica, come il Metodo Naturale di Georges Hébert28, basano la loro originalità sulla tenuta sommaria degli allievi : pantaloni corti per i maschietti, tunica per le femmine.
L’alimentazione occupa anch’essa un posto centrale nelle preoccupazioni dei medici naturisti. Vengono definiti gli « alimenti mortali » : zucchero, carne, alcool29. Si professa una dieta a dominante vegetariana. Al volgere del XIX secolo, il naturismo fa rima quindi con igienismo e con vegetarianismo. A questo proposito – vettore chiave della diffusione nel corpo medico delle tesi naturiste –, nel 1880 a Parigi il dott. Hureau de Villeneuve fonda la Società Vegetariana. Presieduta ai primi del XX secolo dal dott. Jules Grand, essa pubblica la rivista La riforma alimentare. Nel 1899, la creazione della Società Vegetariana di Francia è la prova del crescente interesse che suscita il vegetarianismo.
I programmi igienisti annunciano la nascita in Francia di progetti di riforma dei modi di vita. Questi cominciano a svilupparsi fin dalla fine del diciannovesimo secolo negli ambienti vegetariani e libertari. In quest’ultimo caso, l’igiene naturista è vista come un mezzo per liberarsi dalla società capitalista, di restringere al minimo i propri bisogni e accedere all’autosufficienza, condizione di una libertà totale e di emancipazione definitiva dalla società borghese. La lotta delle classi può passare dal naturismo. Bisogna tuttavia attendere l’inizio degli anni venti perché il naturismo segni veramente la svolta di una « riforma della vita ».
La Nudità: suoi benfici estetici, fisiologici, morali e sociali.
CORPO NATURALE E CANONI DI BELLEZZA TRA LE DUE GUERRE
Per finirla con « la civiltà artificiale delle città piene di fumo30 »
Se il naturismo del primo dopoguerra si libera dalla scorza medica che lo canalizzava, non rompe tuttavia del tutto con i principi, le pratiche e gli argomenti derivati dal XIX secolo. Anzi, al contrario, si assiste a una cristallizzazione delle critiche. Nel 1935, su quasi 129 pagine di un capitolo intitolato « Condizioni antinaturali della vita moderna31 », i dottori Gaston e Albert Daniel presentano una sintesi dettagliata di tutti quegli argomenti critici che caratterizzano il pensiero naturista del primo dopoguerra.
Il primo conflitto mondiale è infatti servito da catalizzatore al naturismo. Segnato dall’annientamento di milioni di esseri innocenti, esso ha in un certo qual modo provato la veracità delle tesi naturiste, la giustezza delle profezie annunciate che riguardavano la decadenza delle società europee. Il progresso scientifico ha portato con sé la morte di massa, industriale. Secondo i naturisti francesi, un tale dramma ha potuto accadere soltanto perché gli uomini si sono allontanati dalla natura, ignorando le sue leggi, i suoi più semplici insegnamenti. Per il dott. Paul Carton, fondatore nel 1921 della Società Naturista Francese, « coloro che conoscevano i danni esercitati dall’alcolismo e dall’irreligione, queste due piaghe dei tempi moderni, […] presentivano e predicevano l’imminenza della catastrofe32 ».
A questo punto diventa impossibile tergiversare. Bisogna convincere, persuadere il gran pubblico e i dirigenti degli errori nei quali si compiacciono. Bisogna liberare l’individuo dai codici deleteri che non potranno che portare a un nuovo disastro, emancipare i corpi dall’influenza delle lobby industriali, dagli errori dei politici, da una concezione erronea e degenere della medicina. Nel 1935, ai membri di ogni centro naturista affiliato alla Lega Vivere, federazione pro-nudista, viene intimato di lottare « in ogni città contro gli speculatori e i commercianti che vendono prodotti contraffatti o di origine dubbia33 ».
Tra i principali leader possiamo citare Jacques Demarquette, fondatore nel 1912 del Trait d’Union, e il dott. Carton che coltiva stretti rapporti con Hébert e il suo movimento hebertista, nonché i dottori Durville, che hanno lanciato nel 1927 la loro Società Naturista. Da ultimo, citeremo Marcel Kienné de Mongeot, che riunisce attorno a sé e alla sua Lega Vivere, creata nel 1927, i proseliti di una nudità integrale, senza concessioni. Tutti lanciano riviste e moltiplicano le conferenze.
Resta il fatto che in funzione delle opinioni politiche e delle sensibilità dei capifila del naturismo, cambia la definizione della società naturale da instaurare. Per il dott. Carton, bisognerebbe tornare a una società patriarcale, fondata sul rispetto della religione cattolica. Punto di vista che condivide con Hébert, che avalla sistematicamente i suoi scritti e ne riprende alcuni elementi per fondare il suo proprio sistema naturista. All’estremo opposto, Jacques Demarquette perora la causa di una società di tipo socialista, internazionalista, e per un certo numero di aspetti, libertaria.
Ben prima della moda del bikini lanciata nel 1946, i naturisti di Heliopolis, soprannominata « l’isola dei seni nudi », hanno optato, verso la fine degli anni Trenta, per il minimum, nome che si dà allora al cache-sexe, tenuto da una cordicella, portato da uomini e donne. Essere naturista non rima all’epoca con nudità totale, salvo per i membri della Lega Vivere. Ed è altrettanto importante, nei primi anni Venti, tanto modificare la propria alimentazione e fare esercizio fisico, quanto spogliarsi, almeno in parte.
In realtà, se si tratta effettivamente di rompere radicalmente con un modo di vita, di liberarsi del vestito, di un certo concetto del pudore, questo serve spesso per meglio aderire a regole nuove, leggi34 che non tollerano eccezioni. Il 15 gennaio 1929, Kienné de Mongeot espone ai lettori della sua rivista i precetti da rispettare severamente :
« Non bere alcol, né bevande alcoliche, non fumare, non rinchiudersi senza reale necessità in locali in cui la cubatura d’aria sia insufficiente per il numero di persone che contengono (caffè, teatri, cinema, ecc.). Al risveglio, eseguire qualche esercizio fisico in completo stato di nudità […]. Fare seguire la seduta di ginnastica da abluzioni e frizioni. Colazione : frutta, potage di verdura (caffè e tè sono eccitanti nefasti). Recarsi a piedi al lavoro camminando di buon passo o correndo con passo ginnico […] Pranzo e cena frugali, di preferenza vegetariani e a base di frutta. (In ogni caso, mangiare una sola volta al giorno o delle uova, o del pesce, o della carne). Prima del pasto serale, piccola seduta di ginnastica, abluzioni e frizioni come la mattina. Dormire con la finestra aperta. Dormire senza camicia da notte e soli nel letto e nella camera. La comunità del letto è antigienica. Coricarsi presto e alzarsi presto. Non dimenticare che l’attività fisica fa le veci dell’abito. Occuparsi nei momenti di riposo e di tempo libero con delle passeggiate in campagna o con delle letture sane e istruttive. Coltivare le arti che fanno parte della vita naturista […]. »35
Ogni naturista ha così il dovere di svilupparsi sia fisicamente che moralmente, come testimonia il motto di Hébert : « Esser forte per essere utile ». La logica ascetica ha così la meglio nella vulgata naturista. Vi si può certamente vedere una strategia di legittimazione, in un momento in cui la nudità, anche parziale, suscita ancora la riprovazione e ricade, in pubblico, sotto la minaccia della legge e della morale pubblica. L’abate Louis Bethléem, direttore della assai influente Rivista delle letture, fa della lotta contro il nudo-naturismo e più in genere « l’immoralità delle spiagge36 » una battaglia di primo piano negli anni Trenta. Comunque sia, il rigorismo naturista testimonia il desiderio di abbandonare uno statuto ancora marginale, alternativo a quello della normalità.
Contro gli « obbrobri della moda »
Lanciata dai naturisti del XIX secolo, la critica agli abiti si inasprisce nel primo dopoguerra. I trattati naturisti comportano sistematicamente dei capitoli dedicati se non agli abiti, almeno ai bagni d’aria e di sole, dove viene comunque trattato questo aspetto. Il dott. Pierre Vachet, collaboratore di Kienné de Mongeot, riassume l’opinione generale in vigore nell’ambiente naturista :
« L’abito, cattivo conduttore d’elettricità, impedisce al nostro organismo di beneficiare come dovrebbe di queste onde cosmiche (che formano l’energia solare). Va detto che i popoli civilizzati non tardano a degenerarsi, a indebolirsi : le razze moderne sono per esempio meno alte e meno robuste delle razze di un tempo. »37
Riprendendo le raccomandazioni dei pionieri del naturismo, Edmond Corval sottolinea nel 1922 la necessità di « sopprimere i vestiti e gli accessori inutili, che impediscono la respirazione e i movimenti del corpo, basta con i solini inamidati immobilizzanti, basta con le cravatte, con i pantaloni stretti, con i calzini, le scarpe strette e di forme ridicole. Per le donne, basta con i corsetti, con i tacchi alti, basta con le gonne lunghe, e finalmente basta con dei cappelli inutili tra l’altro assai costosi38 ». Il costume naturista deve restare un pantalone di tela corto e largo, una camicia americana con le tasche, e un paio di sandali.
La moda, soprattutto femminile, è combattuta con nuova veemenza, designata come una delle cause principali di degenerazione. Nel 1927, Hébert pubblica così sulla sua rivista L’educazione fisica un articolo intitolato « Gli obbrobri della moda – In che modo la donna concepisce la bellezza plastica39 ». Se in esso riprende le idee della sua opera Muscolo e bellezza plastica femminile dedicato nel 1919 all’educazione fisica della donna40, il suo discorso si radicalizza.
Hébert se la prende dunque con i « manichini viventi dell’alta moda41 ». Egli denuncia i « cataloghi delle grandi case di novità, i giornali di moda, e soprattutto gli organi ufficiali dell’alta moda » poiché, essendo diffusi in milioni di esemplari […] nessuna donna sfugge alla loro influenza ». Vilipende ogni supporto visivo, artificiale e virtuale, che contribuisca a falsare lo sguardo, a istituire una estetica antinaturale : manichini di cera, stampe e disegni. Al « canone eterno della bellezza » incarnato dalla statuaria antica, alla quale sottoscrive, la moda preferisce in realtà le donne che raggiungono un certo grado di magrezza, o che assumono delle pose molli o senili ». Hébert scaglia fulmini contro « la silhouette extra piatta vista di profilo che richiede un’atrofia muscolare generale [e] le spalle cadenti, per accordarsi forse con la vita dei vestiti che è ridicolmente posta al di sotto delle anche ». I dottori Durville, dal canto loro, osservano con un occhio altrettanto critico l’evoluzione dei canoni di bellezza femminili :
« Durante un certo periodo, si sollevavano i seni, quasi come su una piattaforma, e dovevano essere enormi ; oggi invece è bello non averne più. E la vita a volte deve essere un vitino di vespa, a volte sale fin sotto le ascelle, oppure finisce con lo scomparire del tutto. »42
Il vigore delle sue parole sottolinea l’importanza accordata alla bellezza e all’estetica dai naturisti. È con questa linea d’attacco che i leader del naturismo pensano ugualmente di cambiare i comportamenti e banalizzare lo svestirsi.
Kienné de Mongeot è anch’egli tra i più virulenti su questo tema. Egli deplora a sua volta la perdita del senso dell’armonia e della bellezza, conseguenza principalmente della « degenerazione fisica »43, della « moda » e « d’una stupida morale ». Secondo lui, il 99 % della popolazione non offre così che uno « spettacolo pietoso di difformità o di travestimenti grotteschi ».
Il vigore delle sue parole va letto tenendo presente certi elementi retorici nuovi che vengono forgiati all’epoca dai difensori del nudo-naturismo. E a buon diritto, la nudità integrale è reputata poter garantire non solo una migliore vitalità grazie all’irradiazione degli organi genitali44 ma è anche la condizione necessaria per una educazione sessuale salutare. Ed è qui che si trova il supremo interesse, il beneficio essenziale del nudo-naturismo. In effetti per i dirigenti della Lega Vivere, i mali di cui soffre l’umanità hanno come origine essenziale le perversioni sessuali e le nevrosi generate da una morale giudeocristiana pudibonda e ipocrita : guerre, delitti, stupri, prostituzione, costituiscono il destino dei paesi in cui l’erronea concezione del pudore veicolata dalla Chiesa ha modificato e complicato l’istinto sessuale primitivo. Ed è attraverso questo prisma che viene giudicata la moda dell’abbigliamento. La sentenza sarà dunque senza appello : mentre « il nudo integrale non lascia alcuna libertà all’immaginazione 45 », ed è, in realtà, « meno evocatore d’immagini perverse del déshabillé. […], i vestiti, gli abiti dei grandi sarti, sono dei capolavori di psicologia libertina46 ».
L’estetica corporea naturista
La lotta contro l’influenza di una moda degenerata ha come corollario l’instaurazione di nuove norme estetiche, che dovrebbero rispettare le leggi della natura, ma che fanno troppo spesso appello ai canoni antichi. Le opere naturiste che si moltiplicano dedicano lunghe riflessioni alla bellezza e alla presentazione di come dev’essere un corpo naturale. Oltre all’opera d’Hébert sull’educazione fisica femminile, Bellezza e libera-cultura di Kienné de Mongeot47 o Fai il tuo corpo48, libro dedicato dai dottori Durville al corpo femminile, hanno grande successo.
Riprendendo le armi dei loro nemici, i leader del naturismo si appoggiano ai mass media mettendo al centro l’iconografia : disegno, fotografia, cinema… Tutti i movimenti dispongono così della loro rivista illustrata, i capifila non esitano a esporre il proprio corpo come prova e illustrazione.
Che ne è allora del modello corporeo preconizzato ? Oltre all’aspetto abbronzato, segno di vitalità e di forza, il corpo naturista è prima di tutto un corpo atletico, integralmente sviluppato ma anche snello. I Durville continuano a ricordare nei loro scritti che « l’essere normale è l’atleta49 », in altre parole muscoloso e senza grasso. In questo ambito, anche le donne accedono ad attributi a lungo considerati appannaggio dell’uomo : la forza, muscoli guizzanti, visibili, e una silhouette scolpita50.
Esistono tuttavia delle sfumature tra i diversi naturismi. Per Hébert e Kienné de Mongeot, non è ammissibile parlare di confusione dei generi. Riferendosi ancora una volta alla statuaria antica, quest’ultimo si sforza di « mostrare alla donna l’errore che commette cercando di mascolinizzarsi ! »51 Resta il fatto che le illustrazioni della sua rivista presentano il morfotipo della “Garçonne”, della silfide moderna52. Arnaud Baubérot osserva così che nelle illustrazioni di Vivere integralmente, « le donne hanno i capelli corti, dei corpi sottili, le anche strette e un petto poco sviluppato53 ». Il modello corporeo al quale si rifanno i Durville – presentato sotto forma di abbozzo – finisce con l’essere ancora più androgino.
Va detto che i centri naturisti tra le due guerre sono anche centri di educazione fisica. La vita vi è organizzata intorno allo stadio e alla piscina, e i naturisti costruiscono in mezzo alla natura degli impianti sportivi d’atletismo, di pallavolo, di tennis… Nei loro scritti, i Durville indicano come costruire uno « stadio in casa propria54 » in soli 4m². Tornei, campionati, iniziazioni sportive e allenamenti collettivi scandiscono i giorni, e Naturismo segnala, oltre ai risultati, la presenza di culturisti venuti a perfezionare la tintarella, come Marcel Rouet, eletto « Apollo 1935 » e « Più bell’atleta di Francia » dal 1936 al 1943.
I naturisti promuovono così dei modelli corporei fonte di complessi, cosa di cui testimoniano le lettere dei lettori. Interessandosi sempre di più alle misure, partecipano all’affermazione di uno « sguardo misurante » sul corpo55. L’attenzione si concentra ovviamente sul petto, che i vestiti non dissimulano più, o mettono in risalto. I Durville moltiplicano le copertine e gli articoli su questo tema in Naturismo fin dalla metà degli anni Trenta56. Facendo appello all’esperienza del dott. A. Achpise, essi presentano i vantaggi della chirurgia estetica per ridare al petto delle donne la sua forma naturale57. La scienza medica in quello che ha di più artificiale è messa al servizio della ricerca del naturale.
Il Culto della nudità
Roger Salardenne, Le culte de la nudité. Sensationnel reportage en Allemagne, Parigi, Prima, 1929.
La moda dell’abbronzatura al soccorso del naturismo
Con il primo dopoguerra, il naturismo francese conosce una prima età dell’oro, come risposta a interrogativi esistenziali e identitari che nascono dalla guerra come angosce di declino. La natura eterna, sola fonte di verità, appare come una matrice generatrice di senso e di punti di riferimento stabili. Ma incappato ugualmente nel consumo, il naturismo non sfugge ai fenomeni di moda. Riservato agli oziosi nel XIX secolo, negli anni Trenta il naturismo tocca tutte le classi sociali. Ci si può dunque arrischiare a stimare a più di un centinaio di migliaia il numero degli aderenti alle organizzazioni naturiste. Qualunque sia l’esagerazione dei leader, il pubblico del naturismo è ancora più ampio. La tiratura delle riviste e delle riedizioni delle opere lo indicano : ogni numero del settimanale Naturismo è tirato a 50.000 esemplari. Inoltre, la stampa generalista nazionale così come quella regionale si interessano sempre più al naturismo, così come le riviste sportive : la celebre rivista L’Auto dedica, tra dicembre 1931 e settembre 1932, non meno di tredici articoli al naturismo.
La diffusione del naturismo è tale da non sfuggire alla satira. Nell’agosto 1930, il Canard enchaîné « si prende gioco » dei naturisti58. Nel 1933 è la volta dello chansonnier Georgius, che canta con derisione Viva il nudo, canzone ritrasmessa dalla TSF. Fioriscono parimenti i romanzi licenziosi che adottano il naturismo come sfondo, come Il signore tutto nudo, o il naturista ingenuo, di Marcel Vigier, opera in seno alla quale si alternano parodia della retorica naturista ed evocazioni erotiche59.
L’aumento delle attività all’aria aperta, segnatamente con il Fronte popolare, offre condizioni propizie al naturismo. Le preoccupazioni igieniche, eugeniche ed estetiche banalizzano i temi e le tesi naturiste. I corpi si liberano e le norme del pudore evolvono, come osserva nel 1935 Louise-Marie Ferré :
« Ma, in certi campi sportivi, in piscina ecc., diventa cosa comune per gli uomini il fatto di mostrarsi a torso nudo, e per le donne, con dei costumi ampiamente scollati. Allo Stadio delle Tourelles [a Parigi], in particolare, si possono vedere degli atleti e delle atlete abbronzati, veri e propri naturisti nel miglior senso del termine, anche se la maggior parte non sono membri aderenti di nessun gruppo. »60
La moda della “Garçonne” illustra ugualmente questa evoluzione, e le nuove regine di bellezza devono dedicarsi all’allenamento fisico61.
Se i corpi si liberano degli strati di abiti, è per meglio sottostare ad un lavoro di modellatura, rivestirsi di muscoli e di colori. Gli anni trenta vedono quindi imporsi la tinta dorata, per esempio nell’influente rivista Marie-Claire62. Regime epidermico un tempo svalorizzato socialmente, la pelle abbronzata diventa sinonimo di salute e di bellezza, convinzioni difese dai naturisti già da lunghi anni, confortati dagli studi medici che trattano delle cure della tubercolosi grazie all’elioterapia. Gli anni Trenta segnano così il trionfo delle creme solari.
I naturisti si avvantaggiano direttamente di queste evoluzioni ma vi hanno anche contribuito. Giornali femminili e riviste di moda fanno così largo al corpo naturista. Nel 1919, Le mode, rivista mensile illustrata delle arti decorative applicate alla donna, presenta in copertina un’allieva di Hébert che porta la tunica regolamentare e si allena al lancio del peso. La fotografia, col sottotitolo « Tipo di atleta moderna », è seguita da un articolo su uno dei discepoli del maestro del Metodo naturale sull’atletismo femminile e la sua influenza sulla bellezza63. La difesa della bellezza naturale e gli abiti da sera vanno a braccetto. Nel 1920, la rivista ripeté con un articolo sulla « Musica ritmica »64 che presentava la « Palestra di Deauville », centro aperto da Hébert per le signorine di buona famiglia. Il corpo naturista, tanto nella sua estetica che nei suoi atteggiamenti, è eretto al rango di modello.
Altro esempio, nel 1932, Le Domeniche della donna, supplemento della moda del giorno affronta il tema in diverse occasioni. In un articolo sugli sport invernali65, il giornalista sottolinea che gli sciatori vanno nelle montagne svizzere « per spogliarsi e approfittare dei benefici del sole e della neve […] sulla pelle umana66 ». Nella rubrica attualità femminili si apprende che il « naturismo è appena stato ufficialmente ammesso in Francia, dal ministro dell’igiene67 ». E lo ritroviamo perfino nella posta dei lettori68.
Physiopolis
Montalivet
Il naturismo è così percepito e venduto come una fabbrica di salute e di bellezza. La promozione di grandi centri naturisti come Fisiopolis nella periferia parigina o Heliopolis sull’isola di Levante si basa su questa immagine. In parallelo, gli istituti di cure naturiste diversificano le loro attività, al punto da trasformarsi a volte in istituti di bellezza. Il corpo naturista impone nuovi abiti e accessori. Il sarto Michou diventa negli anni trenta lo specialista degli « slip naturisti e copriseni », nonché del pantalone naturista, « modello depositato69 ». « Elegante, sportivo, naturale », un taglio presentato come il mezzo più sicuro per i naturisti di riconoscersi in un contesto urbano e professionale. Altro marchio depositato è la « Levantine », il « solo sandalo naturista », fabbricato sull’isola del Levante dall’artigiano P. Parsonneau70. I naturisti diventano anche un bersaglio per i fabbricanti di creme solari e di bellezza71, e di ceretta depilatoria. La pubblicità non esita a mobilitare i temi naturisti persino per gli elettrodomestici, Frigélux annuncia infatti :
« Eccoci in piena stagione di vacanze, avendo abbandonato l’atmosfera viziata della grande città, vi inebriate di aria pura, ‘arrostite’ coscienziosamente la vostra epidermide al benefico sole dell’estate… Frigélux conserva gli alimenti freschi come se fossero appena colti72 ».
Il corpo medico partecipa a questa democratizzazione attraverso le misure di prevenzione e di lotta contro la tubercolosi che elogiano grandemente l’esposizione all’aria e al sole. Si profila ugualmente la rinascita dell’interesse per la medicina neo-ippocratica, coronata dal Primo congresso di medicina neo-ippocratica nel 1937.
Forti di questo successo, i naturisti ottengono una riconoscenza istituzionale in seno alla scuola pubblica, con le scuole all’aria aperta73, nel campo dell’educazione fisica, e presso gli uomini politici, in particolare con il Fronte popolare. Le prese di posizione delle leghe di difesa della famiglia di alcuni membri della chiesa, tra cui l’Abate Bethléem, non riescono a ostacolare questo fenomeno. Segno dei tempi, dopo suo fratello, decorato nel 1933, è la volta del dott. André Durville d’essere fatto cavaliere della Legione d’Onore a titolo dell’educazione fisica, degli sport e del tempo libero, nel 1937. Resta il fatto che in materia di nudità integrale, la legge non è cambiata. Essere visti nudi equivale a commettere un « pubblico oltraggio al pudore » passibile da tre mesi a due anni di prigione, ed una ammenda da 13 a 200 franchi, ai sensi dell’articolo 330 del codice penale.
IL NATURISMO NELLA SOCIETÀ DI CONSUMO : UNA NUDITÀ ALLA MODA
Il boom dei centri di vacanza : un naturismo consumato su grande scala
Con gli anni Sessanta e Settanta, il naturismo compie un nuovo passo come oggetto di consumo. Frutto del contesto dei sixties segnato dall’importanza assunta dai giovani e dalle controculture, dall’avvento della società di consumo, questa evoluzione è stata preparata da lunga data in seno alla Federazione Francese di Naturismo (FFN), fondata nel 1950. Alla sua creazione, i dirigenti avevano come obiettivo la democratizzazione del naturismo associandolo alla nudità integrale e alle vacanze74. Sono così indotti a transigere con i valori dell’ascetismo e di responsabilità che prevalgono nel primo dopoguerra. L’eugenismo, ritornello ossessivo tra le due guerre, è sostituito dall’edonismo. Pertanto, moltiplicano le azioni di comunicazione, tra cui la partecipazione a tutti i saloni relativi all’aria aperta, al campeggio, alle vacanze, in particolare i saloni Natura e salute. In parallelo, completano la rete di club naturisti locali con la creazione di grandi centri di vacanze, con, a mo’ di locomotiva, il Centro Eliomarino (HM) di Guyenne-Montalivet (Gironda), lanciato nel 1951. Vetrine pubblicitarie, questi centri devono servire come luoghi di iniziazione. Dieci anni dopo, Héliomonde, il « Montalivet parigino », apre le porte a Saint-Chéron, in mezzo a 70 ettari di bosco e distese sabbiose. Nel frattempo, nel 1956, è nato il CHM di Cap d’Agde, sotto l’impulso dei fratelli Oltra. L’isola di Levante, anche se è indipendente dalla FFN, viene a completare questa offerta. Dopo inizi un po’ incerti, arriva infine il successo negli anni sessanta e si conferma negli anni settanta. Il CHM di Montalivet supera il traguardo di 10.000 persone fin dal 1959, poi delle 20.000 nel 1970. Nel 1976, la frequentazione del centro di Cap d’Agde si aggira intorno alle 25.000 persone d’estate – il doppio su tutto l’anno. Negli anni sessanta, Heliopolis fa la parte del leone con circa 70.000 persone sbarcate sull’isola di Levante nel 196975. Questi successi creano degli emuli : nel 1970, la FFN può contare oramai su 21 centri. Tali centri permettono di nutrire la federazione di nuovi membri : da 8. 229 nel 1960, diventano più di 20.000 nel 1967, e 74.000 nel 1979. La situazione economica in continuo miglioramento dei trent’anni tra le due guerre è benefica per il naturismo, il fatturato annuo di alcuni grandi centri raggiunge svariati miliardi di franchi76.
Ciò nonostante, la svolta commerciale e democratica solleva delle contestazioni. Kienné de Mongeot critica così Albert Lecocq che si astiene dal « pubblicare nella sua rivista dei nudi integrali sperando di raggiungere così un pubblico più numeroso77 ». Promuove la sua organizzazione, la Società Gimnosofica Internazionale, creata nel 1945. Altro episodio delicato, la FFN assiste al suo interno allo scontro fra i dirigenti dei centri di vacanze e quelli dei club locali. In alcuni centri vacanze, le aspettative dei clienti e gli svaghi sembrano a poco a poco aver la meglio sui valori naturisti dei riformatori degli anni venti. Nel luglio 1971, il ritorno alla natura si declina a Cap d’Agde in un immenso villaggio anfiteatro costruito intorno a un porto e riservato ai naturisti : Port Ambonne. Come corollario, il naturismo indoor si sviluppa sempre più, suscitando interrogativi e controversie.
Alla fine, la FFN modifica nel 1972 i suoi statuti e pone in essere un comitato dedicato ai centri di vacanze. Ma il problema dell’identità del naturismo, nei confronti in particolare dei nuovi « consumatori » del nudo non è ancora stato risolto. Rimangono delle tensioni di fondo, che riaffiorano con forza negli anni ottanta e si concludono nel 2002 con la scissione dei centri principali dalla federazione.
Il naturismo alla conquista delle spiagge : dalla moda dei seni nudi… al naturismo selvaggio
Dopo la guerra e il periodo un po’ difficile degli anni Cinquanta, in cui numerose associazioni si disfano, il naturismo è di nuovo alla moda, rispondendo alla sete di libertà della gioventù figlia del baby boom. Come all’indomani della Prima guerra mondiale, il naturismo è considerato una matrice di senso capace di guidare l’esistenza. La critica della società capitalista e delle istituzioni che la legittimano riattiva il mito del ritorno alla natura. Il ritorno delle medicine naturali con la naturopatia, direttamente ereditata dalle cure naturiste del XIX secolo, e gli inizi dell’agricoltura biologica ne sono la prova78. D’altra parte, se nel maggio ‘68 i giovani divelgono i sanpietrini delle strade parigine è ‘per ritrovarci sotto la spiaggia’, in altre parole ritornare a una natura autentica.
La gioventù, rivendicando il proprio diritto alla differenza di fronte alle generazioni precedenti, rimette in questione le norme relative al pudore e alla sessualità, incontrando in questo modo le rivendicazioni dei naturisti79 Jean-François Sirinelli, Les baby-boomers, Parigi, Fayard, 2003.. La soglia del pudore si evolve e la nudità diventa il simbolo della libertà e una forma di contestazione. Le arti, cinematografiche in particolare, le danno un mezzo di espressione e una cassa di risonanza inedita80. E per quanto paradossale possa sembrare, poiché la nudità fa vendere, essa è promossa nel seno della società di consumo, ivi compresa la nudità naturista il cui progetto sarebbe invece di sbarazzarsi della società. Alcune riviste naturiste partecipano a tutto questo, più o meno volontariamente. Nella rivista Naturismo 51, gli articoli di Jean Bassaud, « La fabbrica dei bei ragazzi81 » o di Nick Darmont82, associano la pratica del naturismo alla seduzione, al piacere sensuale.
Visto una volta come un perverso, un esibizionista, il nudo-naturista diventa una figura simpatica, giovane, positiva. Se non altro è questa l’immagine che emerge dalla saga di grande successo di Una ragazza a Saint-Tropez, il cui primo episodio esce al cinema nel 1964 e l’ultimo nel 1982. Nel 1974, un sondaggio realizzato dall’IFOP per France-Soir conferma la buona opinione che i francesi hanno ormai della pratica della nudità, il 41 % delle persone di più di vent’anni interrogate si pronuncia per il « diritto di fare il bagno nudi e senza costume da bagno83 » sulle spiagge. E non è un caso, infatti, se da una decina di anni la moda dei seni nudi, esposti sotto la luce abbagliante di Saint-Tropez, si estende a tutto il litorale francese. Nonostante la legge e i decreti prefettizi, le autorità pubbliche si dichiarano impotenti a far cessare il fenomeno. Nell’agosto 1970, questo « semi naturismo » ha già conquistato tutto il golfo di Saint-Tropez e anzi contribuisce alla fama di molti stabilimenti balneari, come La vela rossa84.
Contemporaneamente si sviluppa la pratica del naturismo selvaggio, segnata ancora una volta da tensioni tra adepti e autorità pubbliche. La prima parte di Una ragazza a Saint-Tropez si ispira agli scontri tra le forze dell’ordine e i naturisti selvaggi sulla spiaggia di Pampelonne (Ramatuelle) che costellano i primi anni sessanta. Il naturismo selvaggio è tuttavia fonte d’inquietudine per la FFN in cerca di legittimità e che non è ancora riconosciuta d’interesse pubblico. I neo-naturisti si emancipano in effetti dai regolamenti e dalle norme naturiste. In un momento in cui la virilità è rimessa in questione, sacrificata sull’altare del pacifismo e del rifiuto dell’autorità, essi ignorano il diktat del corpo atletico. Si liberano ugualmente dal pudore in materia di costumi che fino ad allora prevaleva nei centri, dai regolamenti spesso rigidi. Se la sessualità è affrontata in seno alle riviste è per meglio evitare le sue manifestazioni nei centri, visto che la maggioranza degli aderenti ha « una posizione di distanza e di diffidenza85 » nei confronti della liberazione sessuale. Ed è anche il loro corpo ad essere diverso, a volte importuno, con la moda dei segni corporei (tatuaggi, piercing…) e altri segni di affermazione identitaria86. Ciò che una volta era conferito alle persone dall’abito, adesso lo è dal corpo.
Naturismo e people : il caso dell’isola di Levante
Il caso di Heliopolis è emblematico delle evoluzioni, contraddizioni, e tensioni che conosce allora il naturismo. Dagli anni cinquanta vi si ritrovano e convivono, con varie vicissitudini, diverse famiglie di naturisti. A causa della sua situazione geografica e dell’aura da cui è circondata, essa si rivela un luogo trasgressivo e dunque alla moda.
Heliopolis
Si distinguono così gli adepti del minimum, tenuta ufficiale dalla fine degli anni Trenta, i nudo-naturisti che si riuniscono sulla spiaggia delle grotte e scacciano senza pietà tutti coloro che non si sbarazzano della loro tenuta, minimum compreso, ma anche dei commercianti e dei turisti per i quali la nudità si concepisce soltanto per le abluzioni intime. Vi si scopre una pletora di attori di cinema e teatro, cantanti, pittori, scrittori : Michel Simon, Madeleine Renaud, Jean-Louis Barrault, Simone Valère, Guy Béart, Louis Moyano, Charles Devismes… Le star americane non disdegnano neanch’esse di mostrarsi a Heliopolis, come ad esempio Errol Flynn o Jayne Mansfield. Indossatrici con Joëlle Monnin, e stelline in ascesa frequentano anch’esse la località e contribuiscono a dare un profumo di scandalo e di erotismo al luogo, il che non è smentito dalla presenza di Rita Renoir, attrice ma anche pioniera dello striptease in Francia. Tra la fauna presente a Heliopolis, benché alcuni siano autentici naturisti venuti a perfezionare il loro corpo e la loro salute in un clima favorevole, altri sono piuttosto alla ricerca d’esperienze nuove ed eccentriche. I locali notturni e vari tipi di cabaret, come La paillote, Il convento, La caravella o Lo stock, si adattano a questo pubblico, organizzando delle serate in cui la nudità si fa più erotica. A la Paillote, si balla con i corpi dipinti, come solo vestito, in occasione delle « notti cannibali ». Una certa libertà sessuale, se non un libertinaggio vero e proprio, trovano così il loro spazio. Come nota un osservatore dell’epoca, l’isola accoglie così « le coppie per bene, i naturisti inveterati, i celibi a caccia, gli omosessuali dei due sessi, gli scambisti, i festaioli », che inalberano « sfrontatamente la propria marginalità, la loro volontà d’apertura e il loro gusto per la libertà87 » .
Questa situazione non dura. I conflitti tra i naturisti e i consumatori del nudo finiscono col saldarsi, col passare degli anni Settanta, con una normativa che vuole scoraggiare l’espressione di una nudità libertaria e libertina. La temporalità della moda spiega anche che le vedette e celebrità prendano il volo per altri luoghi, per l’appunto Saint-Tropez. Quanto alla nudità libertina, essa trova dei nuovi spazi privilegiati a Cap d’Agde e su certe spiagge88.
La FFN tenta in seguito di approfittare della reputazione favorevole che il naturismo ottiene presso personalità in vista. Il suo organo ufficiale, La Vita al sole, intervista così Marielle Goitschel, campionessa olimpionica di sci nel 1968, per la quale il naturismo è semplicemente « fantastico »89. Nel 1975, il navigatore Éric Tabarly rivela nelle sue colonne di vivere totalmente nudo durante le sue lunghe traversate sotto i tropici90. Pascal Lainé, premio Goncourt 1975 e Jacques Médecin, segretario di Stato per il turismo, le daranno a loro volta la loro benedizione nell’anno 197691.
Per dare una maggiore autorità al loro movimento, e rafforzarlo in particolare nei confronti delle nuove generazioni, i responsabili della FFN si sforzano di far prendere al naturismo la svolta dell’ecologia, tema che diventa sempre più alla moda. Resta il fatto che, fondamentalmente, l’ecologia risponde ai valori naturisti e allo spirito riformista dei pionieri del movimento. La Vita al sole esorta dunque i suoi lettori a sostenere le organizzazioni ecologiste e a consumare in modo diverso, anche per l’alimentazione, l’abbigliamento, nonché l’alloggio, sostenendo l’agricoltura biologica, il risparmio energetico, e a partecipare alla protezione della natura, della fauna e della flora.
La panoramica dei rapporti tra la moda e il naturismo sottolinea quanto essi furono al tempo stesso stretti e ambigui. Stretti, poiché poco tempo dopo la sua invenzione il naturismo è inghiottito da una logica commerciale, in particolare per l’abbigliamento, che non si smentirà. Dal sandalo Kneipp al pullover artigianale di lana naturale, passando dagli slip da bagno e vari altri costumi naturisti, è vero che esiste un vestito naturista che permette agli adepti del ritorno alla natura di non venire meno al loro impegno, ivi compreso nella vita quotidiana.
Dei rapporti stretti anche perché la moda è stata presa di mira dai naturisti, in quanto espressione molto visibile del carattere assurdo se non pericoloso delle convenzioni sociali alle quali essi oppongono una natura atemporale. Il naturismo si costruisce durante tutta la sua storia contro la moda, in particolare dell’abbigliamento, infatti i suoi propagandisti combattono la prigione corporea costituita dal vestito, metafora della società artificiale in seno alla quale l’individuo è rinchiuso. Abbandonare la moda è il primo passo verso una rottura con la città, e poi con una civilizzazione che nel suo insieme si è troppo allontanata dalla natura.
Dei rapporti ugualmente ambigui, poiché, come le grandi ideologie e utopie nate alla stessa epoca, il naturismo si trova a dover scegliere tra degli orientamenti idealisti, militanti, a volte elitisti, da una parte, e dall’altra il suo sfruttamento commerciale e la sua democratizzazione. Esso è dunque oggetto di fenomeni di moda proprio nel momento in cui i suoi fondatori predicano l’atemporalità di questi valori ; col tempo e l’evoluzione dei costumi le tenute naturiste si banalizzano, sono persino alla moda, basta prendere il caso del costume due pezzi, del monokini o ancora del minimum. Durante gli anni Sessanta-Settanta è la nudità stessa ad essere al centro dell’interesse, il che non mancherà di suscitare dei conflitti tra le nuove generazioni di naturisti e i loro predecessori. Il naturismo oscilla così in permanenza tra ascetismo e edonismo, che tracciano così i limiti di un continuum di pratiche e di metodi che sempre si scontrano con le mode, o finiscono con lo sposarle.